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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-10 ad oggi 2010-11-03 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

2010-09-27Il fotovoltaico italiano vale tre miliardi di euro. Vai ai grafici interattivi

Per il 2010 cielo sereno e sole abbondante, soprattutto al Nord. Le perturbazioni non dovrebbero offuscare il 2011.

Con la benedizione del nuovo Conto energia la giovane industria del fotovoltaico dovrebbe vivere una fase di concentrazione e maturazione, ma con sempre più pannelli pronti a convertire in corrente elettrica i raggi del sole.

dal 1º gennaio 2011 entreranno in vigore le nuove tariffe, gradualmente ridotte per scaglioni, si possono fare due conti. Osservando innanzitutto che per l'anticiclico segmento del fotovoltaico

il 2009 è stato molto buono: la potenza cumulata installata in Italia è stata di 1.142 Mw di picco, ovvero 720 in più rispetto al 2008, quando erano 422 cumulati. La migliore performance è andata al Nord, ma nel Sud brilla la Puglia.

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

Il 2010 nel settore del fotovoltaico per fine anno verranno installati altri 850 Mw. La produzione di corrente elettrica con l'energia del sole arriverebbe così all'1 per cento.

Nel 2011 Il mercato potrà subire una contrazione della crescita

Uno dei volani principali degli ultimi anni è stato il drastico calo dei prezzi, che va più veloce del l'aumento dell'efficienza dei pannelli : secondo la ricerca i moduli potrebbero arrivare a 1 dollaro per Watt nel 2015 (oggi il prezzo è tra 1,5 e 2 dollari). Nel 2009 le aziende italiane del settore nel nostro paese hanno registrato ricavi per 2,35 miliardi di euro, in crescita del 39% rispetto agli 1,69 del 2008.

Sono cresciuti di più i Megawatt dei fatturati proprio per effetto del crollo del prezzo di moduli, la riduzione di oltre il 50% del prezzo del silicio, l'aumento della produzione di moduli a film sottile e la crescita di parchi di grosse dimensioni.

La previsione è che il valore del settore a fine 2010 sia di circa 3 miliardi di euro.

2010-07-10 TarantoCome rinascere dopo i veleni La città dell’acciaio alla prova

Il Comune, in mano a una sinistra divisa, è assediato da truffe e debiti e aspetta il referendum sulla vecchia Italsider che inquina ma dà lavoro

Volete voi, per la vostra salute, rinunciare al 75% del Pil? Mica facile rispondere a una domanda così. Eppure è questo il primo quesito che verrà fatto ai tarantini se andrà in porto il referendum promosso da "Taranto futura". Referendum contro il quale sono stati sollevati davanti al Tar vari ricorsi. Non solo da parte dell’impresa presa di mira e della Confindustria ma anche della Cisl e della Cgil.

L’Ilva rappresenta per la città pugliese, con i suoi 15 milioni di metri quadri di superficie, i suoi 200 chilometri di rete ferroviaria e 50 di strade interni, i suoi 9 milioni di tonnellate di acciaio solidificato, i suoi 13 mila dipendenti diretti e 7 mila nell’indotto, un colosso che pesa molto più della Fiat a Torino negli anni d’oro. Che la gigantesca industria siderurgica nata Italsider 50 anni fa (9 luglio 1959) e rilevata nel ’95 dal gruppo Riva abbia per decenni impestato Taranto, l’antica e nobile Taras della Magna Grecia, è fuori discussione. Lo certifica nel "Rapporto ambiente sicurezza 2009", edito per rasserenare gli animi, lo stesso Emilio Riva ammettendo che quando arrivò lui "gli stabilimenti della società, in particolare quello di Taranto, versavano in condizioni critiche e poca attenzione era riservata alle problematiche ambientali ". Tanto da costringerlo a investire "per l’ambiente e l’ecologia" complessivamente 907 milioni di euro.

Risultati? Ottimi, sostiene l’Ilva: riduzione "del 70% della concentrazione di polveri nei fumi dell’agglomerato", di "oltre l’80% nelle emissioni globali di ossido di zolfo", "oltre il 50% delle emissioni di cloro", "un ulteriore 50% di emissione di diossine" e via così... Di più: il consumo di acqua industriale è stato ridotto in 15 anni "del 40%" e sulle acque di scarico sono stati "investiti 110 milioni di euro per una riduzione fino al 98-99% di alcuni inquinanti". Ancora: su 5.514 campionamenti monitorati dal ministero dell'Ambiente "solo 16 hanno superato il limite di concentrazione della soglia di contaminazione prevista per i suoli a uso commerciale e industriale". No: risultati mediocri, ribattono gli ambientalisti.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

2010-07-10

Il mio Pensiero

 

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2010-07-10

Taranto

Come rinascere dopo i veleni La città dell’acciaio alla prova

Il Comune, in mano a una sinistra divisa, è assediato da truffe e debiti e aspetta il referendum sulla vecchia Italsider che inquina ma dà lavoro

Volete voi, per la vostra salute, rinunciare al 75% del Pil? Mica facile rispondere a una domanda così. Eppure è questo il primo quesito che verrà fatto ai tarantini se andrà in porto il referendum promosso da "Taranto futura". Referendum contro il quale sono stati sollevati davanti al Tar vari ricorsi. Non solo da parte dell’impresa presa di mira e della Confindustria ma anche della Cisl e della Cgil. L’Ilva rappresenta per la città pugliese, con i suoi 15 milioni di metri quadri di superficie, i suoi 200 chilometri di rete ferroviaria e 50 di strade interni, i suoi 9 milioni di tonnellate di acciaio solidificato, i suoi 13 mila dipendenti diretti e 7 mila nell’indotto, un colosso che pesa molto più della Fiat a Torino negli anni d’oro. Che la gigantesca industria siderurgica nata Italsider 50 anni fa (9 luglio 1959) e rilevata nel ’95 dal gruppo Riva abbia per decenni impestato Taranto, l’antica e nobile Taras della Magna Grecia, è fuori discussione. Lo certifica nel "Rapporto ambiente sicurezza 2009", edito per rasserenare gli animi, lo stesso Emilio Riva ammettendo che quando arrivò lui "gli stabilimenti della società, in particolare quello di Taranto, versavano in condizioni critiche e poca attenzione era riservata alle problematiche ambientali ". Tanto da costringerlo a investire "per l’ambiente e l’ecologia" complessivamente 907 milioni di euro.

Risultati? Ottimi, sostiene l’Ilva: riduzione "del 70% della concentrazione di polveri nei fumi dell’agglomerato", di "oltre l’80% nelle emissioni globali di ossido di zolfo", "oltre il 50% delle emissioni di cloro", "un ulteriore 50% di emissione di diossine" e via così... Di più: il consumo di acqua industriale è stato ridotto in 15 anni "del 40%" e sulle acque di scarico sono stati "investiti 110 milioni di euro per una riduzione fino al 98-99% di alcuni inquinanti". Ancora: su 5.514 campionamenti monitorati dal ministero dell'Ambiente "solo 16 hanno superato il limite di concentrazione della soglia di contaminazione prevista per i suoli a uso commerciale e industriale". No: risultati mediocri, ribattono gli ambientalisti. I quali ammettono che sì, una riduzione dei danni c’è stata, ma non sufficiente. "Secondo l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Taranto è la città più inquinata d’Italia — accusa Alessandro Marescotti di Peacelink —. Il nostro è l’unico caso in cui il 93% dell’inquinamento viene da polveri sottili di origine industriale e solo il 7% è costituito da quello di origine civile. I morti di cancro rispetto a una volta sono raddoppiati. Stando alle proiezioni dell’Arpa Puglia sulle rilevazioni del febbraio 2008 l’area a caldo emette 172 grammi/anno di diossina cioè quanto Spagna, Svezia, Austria e Gran Bretagna messe insieme". Non basta: "La relazione Inail "La mortalità per neoplasie a Taranto" di Miccio e Rinaldi dice che "si rileva che il quartiere più prossimo all’area industriale presenta valori di mortalità quasi tripli rispetto ad aree più distanti". E i terreni per venti chilometri intorno sono così contaminati che Vendola ha fatto un’ordinanza che vieta il pascolo…". Leo Corvace, di Legambiente, conferma: "Hanno già dovuto abbattere 1200 pecore e capre perché avevano trovato diossina nel latte e nelle carni. E ci risulta che purtroppo non è ancora finita". Fin qui, gli ambientalisti sono compatti. Anche a dispetto delle perplessità di scienziati come Carlo La Vecchia, capo del dipartimento di epidemiologia del "Mario Negri" di Milano, secondo il quale "i numeri dicono che nel loro complesso non vi è eccesso di tumori a Taranto. C’è stato, questo sì, un problema grave di esposizione all’amianto ma riguardava i cantieri navali. In ogni caso stiamo parlando di esposizioni a rischio in passato. Non oggi". Tesi raccolta dall’avvocato Francesco Perli, legale dei Riva, che rilancia: "L’Ilva non si è mai spostata da dove venne perimetrata e semmai ci fosse uno squilibrio è perché nell’anarchia si sono "avvicinati" abusivamente all’area industriale i quartieri Paolo VI e Tamburi". Risposta di Corvace: "Ma non è vero! Tamburi esisteva da prima dell’Italsider!".

Anche sulla chiusura della cosiddetta "area a caldo" dello stabilimento, già smantellata a Genova, i verdi sono d’accordo. Sul referendum, però, la frattura è netta. "Io sono del 1958 e voglio tornare a respirare l’aria che si respirava nel 1958", dice Marescotti. Corvace no: "Io l’anno prima del 1958 partii con i miei genitori per Dunkerque. Non possiamo rimpiangere quella Taranto da dove la gente era costretta a emigrare. Con l’Ilva ci dobbiamo trattare ma il referendum è sbagliato". Cifre alla mano, la fabbrica voluta non solo dalla Dc ma anche dalle sinistre (il titolo del "Corriere del giorno" fu: "Una nuova era si è iniziata a Taranto per la storia del Mezzogiorno d’Italia") pesa per il 75% sul Pil provinciale, per il 20% su quello regionale. E dipende dall’ex Italsider, direttamente o indirettamente, almeno una famiglia tarantina su tre. Va da sé che i quesiti referendari hanno aperto spaccature lancinanti. In particolare il primo: "Volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura dell’Ilva?". Sulle prime la domanda era avventata fino all’ingenuità: "Volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute, nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura dell’Ilva, con l’impegno del governo di tutelare l’occupazione, impiegando le maestranze per lo smantellamento e bonifica dell’area… ". Immediate ironie dei realisti: "E i pasticcini? Non chiediamo che il governo ci porti pure i pasticcini?"

Dicono i "duri e puri" alla Marescotti che "occorre uscire dalla monocultura, prima dei cantieri navali e poi dell’Italsider. La salute viene prima. In India sono più poveri di noi ma nel villaggio di Dhikia a una maxiacciaieria la gente si oppone". Dicono i pragmatici alla Corvace: "Noi ambientalisti non possiamo permetterci di uscire dal referendum dalla parte di chi perde. Dobbiamo trattare, trattare e trattare con l’azienda. Ma il referendum rischia di rivelarsi una sconfitta storica". Se è fetida l’aria spinta dal vento verso il quartiere Tamburi, non meno brutta è l’aria che tira dal punto di vista economico, produttivo, occupazionale. Anche perché è improbabile che lo Stato, invocato nell’iniziale quesito referendario, ambisca a tornare ad assistere i tarantini. La gestione del pubblico denaro negli ultimi anni, infatti, è stata indecente. A raccontarla tutta, la storia del crac del Comune di Taranto, il primo in assoluto in Italia ad avere un liquidatore come capita alle società fallite, ci sarebbe da scrivere un libro. Un po’ comico e un po’ horror. Prendete la faccenda dei semafori, scoperta da Cesare Bechis del "Corriere del Mezzogiorno ". Un bel giorno un funzionario butta un occhio sulle bollette: come è possibile che un semaforo costi meno di 18 euro di elettricità e un altro 1.749? Se fanno entrambi la stessa cosa (luce verde, gialla, rossa…) come è possibile che uno costi cento volte più di quell’altro? Sfoglia i conti e ci resta secco: non c’è semaforo che abbia una bolletta uguale a un altro. Come mai? A certi semafori si attaccavano con i cavi per fregare la luce tutti gli abitanti dei dintorni. Non c'è settore nel quale, per anni, le pubbliche casse non siano state viste come mammelle alle quali era "normale" succhiare il più possibile. Un paio di esempi? Tra tutti i conti presentati dai creditori del Comune (per un totale di 5.960 istanze di gente che diceva di avanzare soldi) spiccano tre parcelle di un avvocato per un totale di 150 mila euro. Mario Pazzaglia, il presidente veneto-marchigiano dell’Ols (l’Organo Straordinario di Liquidazione), non è convinto. Spulcia e scopre che si tratta di tre fatture per la stessa pratica. "Oh, scusate, un errore della segretaria…". Pagamento concordato: 6 mila euro. Venticinque volte di meno. Altro esempio? Lo racconta ancora Bechis: "Fatta cento la tassa sui rifiuti (Tarsu) accertata a carico di un nuovo contribuente, finisce nelle casse comunali il 26,34%". Poco più di un quarto. Ma soprattutto la metà di quello che si trattenevano le società (l’ultima fetta, storicamente, riguarda gli evasori) delegate agli accertamenti e alla riscossione. Che si portavano via addirittura il 47,29% sull’accertato. Un delirio. Per non dire della maxi evasione dell'Ici da parte delle grandi imprese, come la stessa Ilva, che per anni avevano "dimenticato" come l’imposta andasse pagata non solo per le opere in muratura. Totale dell’evasione accertata dal 2003 al 2007: 57 milioni. Una somma enorme. Tanto più per un Comune con l'acqua alla gola. C’è poi da stupirsi che Taranto sia affondata nel 2006 sotto una montagna di debiti che Pazzaglia e i suoi hanno definito proprio giovedì scorso in 835 milioni? E meno male che controllando documento su documento ("le fatture erano ricaricate in media del 40% e perfino Equitalia diceva di avanzare dal Comune 25 milioni e invece ne avanzava 4") la somma finale è stata ridotta. Quella iniziale era di 920. Cioè 14.000 euro di buco a famiglia.

Dovrebbero studiarla a scuola, la storia degli anni della Grandeur Tarantina. Quando il Comune era amministrato da Rossana Di Bello, una biologa titolare di alcune gioiellerie, fondatrice del primo club pugliese di Forza Italia, eletta nel 2000, rieletta trionfalmente nel 2005 e dimessasi l’anno dopo in seguito a una condanna per abuso di ufficio e falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta sull’inceneritore. Appalti incredibili. Contabilità allegra. Megalomanie. Al punto che fu avanzata l’idea (travolta dal crac) di costruire il Colosso di Zeus, una statua gigantesca che avrebbe dovuto ricordare l’antica opera di Lisippo. Colossale fu il buco lasciato dalla giunta berlusconiana. E colossale la legnata inflitta alle elezioni del 2008 alla Casa delle Libertà, precipitata in due anni dal 57,8 al 15,5%, con tracollo di 42,2 punti. Tanto che il ballottaggio per il sindaco vide scontrarsi due schieramenti di centrosinistra con travolgente vittoria (76%) di Ippazio Stefàno, un pediatra che dopo essere stato senatore pidiessino aveva chiuso con la politica attiva per dedicarsi al volontariato ed era appoggiato da un "fritto misto", dall’Udeur a Rifondazione comunista. Tre anni dopo, assediato da mille cittadini in difficoltà, mille beghe interne alla sinistra e mille grane ereditate dal crac ("non abbiamo diritto neppure ad avere un direttore generale o un addetto stampa e io me le sogno le venti persone nello staff che aveva la Di Bello!") il sindaco allarga le braccia: "Su 40 seggi la sinistra ne ha 29, la destra 11. Teoricamente dovrei leccarmi le dita. E invece è una lite al giorno. Per ragioni di bottega. Destra e sinistra, solo bottega. Un ostruzionismo continuo, che di fatto va contro la povera gente. Dibattiti sui destini della città, zero. La commissione ambiente e paesaggio, per dire, non è ancora stata nominata. Dovrebbe occuparsi delle spiagge. Siamo a metà luglio e il consiglio comunale non l’ha nominata. Non so se mi spiego". I conti, certo, vanno meglio. Le entrate Ici, per esempio, sono salite da 32 milioni nel 2006 a 45 l’anno scorso e probabilmente 55 quest'anno. Quelle della Tarsu da 19 a 33. Ma alcuni problemi annosi, spiega Stefàno, sono rimasti irrisolti: "Il Comune ha 2000 appartamenti e ne ricava 400 mila euro l’anno. Fatti i conti ogni appartamento rende 200 euro d’affitto. Da non dormirci di notte. Vorrei e dovrei censirli a uno a uno ma mi mancano perfino i vigili. Sulla carta ce ne sono 194 ma 56 figurano "non idonei". Ne restano 140, su due turni. Togli malattie, riposi, assenteisti e di fatto, la domenica, per una città di 200.000 abitanti, sì e no in servizio ce n’è una dozzina". I dipendenti comunali, dice, con "una pianta organica che era stata gonfiata fino a 1.750 dipendenti, sono calati da circa 1.500 a 1.050". Miracolo? Magari. Quando scoppiò il bubbone saltò fuori che decine di funzionari e dirigenti si erano auto-aumentati lo stipendio autocertificando di avere fatto per il Comune dei lavori al progetto. Buste paga da venti, trentamila euro al mese. Con punte di 39.160. Basti dire che a un certo Cataldo Ricchiuti, accusato di essersi regalato 567 mila euro di aumenti illegittimi, furono sequestrati 12 fabbricati, un terreno, 124 mila euro in banca…

Ma quelle megatruffe, spiega il sindaco, erano solo la punta dell’iceberg: "Tutti i dipendenti, salvo forse una ventina di persone pulitissime, avevano gli stipendi più alti. Dico tutti. Straordinari senza controllo, "progetti" pagati a parte per fare niente, autocertificazioni di familiari a carico... Tutto "normale" pareva. Quando ho cercato di ripristinare un po’ di serietà (ci guardavano come dei marziani rompicoglioni) chi poteva se n'è andato in pensione così che questa fosse calcolata sulla base dell’ultimo stipendio. Sa, piuttosto che vedersela conteggiare su una busta paga ribassata...". Dice che lui, con i conti messi in quel modo, lo stipendio da sindaco non lo tocca neppure: "Lo versano su un conto corrente a parte. E i soldi servono per fare tante cose. Pubbliche. Ame basta la pensione". Lo stesso Giancarlo Cito, incazzosissimo bastian contrario, riconosce che sì, "Ippazio è uno che fa le cose con spirito missionario. Pediatra bravissimo. Se i nipotini hanno un problema chiamo lui. Sarebbe un grande missionario in Africa. Per fare il sindaco di Taranto però servono gli attributi. Durissimi bisogna essere. Lui non lo è". Era dimagrito di 45 chili, l’ex sindaco costretto a dimettersi e poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa, quando nel 2006 "La Voce del Popolo" lo sparò spettrale in copertina col titolo: "Vi prego, non mi abbandonate!". Pagato il conto con la giustizia, anche se ha ancora qualche gatta da pelare, l'istrionico imprenditore televisivo sembra tornato quello di una volta. Che conquistò la carica di primo cittadino e poi un seggio alla Camera sventagliando sulla sua tv (Tbm: Tele Basilicata Matera ma i tarantini ammiccano che in realtà è Tele Benito Mussolini) raffiche di sgrammaticati insulti ai politici: "Siete delle carogne, dei ladri, dei delinquenti!". "Io vi do un sacco di botte perché avete rubato a quattro ganasce! ". "Signori che avete le orecchie a livello di Trombo di Eustacchio!". Per il momento, in politica, c’è tornato per interposta persona. Candidando il figlio Mario (l’unico candidato del pianeta muto come Bernardo, il servo di Zorro: "a parlare penso io") fino a portarlo incredibilmente al 20% alle comunali e addirittura al 30% (solo in città, si capisce) alle provinciali. Due trionfi. A dispetto della fama che ha nel resto d'Italia dai tempi in cui si candidò a sindaco di Milano con uno slogan purtroppo incompreso: "Voglio tarantizzare Milano. Farla diventare come la mia Taranto, la Svizzera del Sud". Una scalata cui seguì quella all’Europa per "tarantizzare Strasburgo ". Ora che l'interdizione dai pubblici uffici è scaduta si candiderà ancora? Cito gigioneggia: "Mah…". In ogni caso, convinto com’è di essere stato il più grande sindaco di tutti tempi ("io feci rimuovere 40 mila auto in seconda fila, io portare qui l’università, io scendere gli scippi a un paio l’anno…") è tornato a mostrare i muscoli. Letteralmente. Andando a nuoto da Reggio Calabria a Messina ("da Villa San Giovanni son capaci tutti") per glorificare l’idea di unire il Mezzogiorno contro l’odiata Lega Nord. Una nuotata alla Mao Tzetung? Ma va là: "Quello s’era fatto un bagnetto nel Fiume Giallo. Plop, plop, fine. Io invece...".

10 luglio 2010

 

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-10 ad oggi 2010-11-03

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Taranto

Come rinascere dopo i veleni La città dell’acciaio alla prova

Il Comune, in mano a una sinistra divisa, è assediato da truffe e debiti e aspetta il referendum sulla vecchia Italsider che inquina ma dà lavoro

Volete voi, per la vostra salute, rinunciare al 75% del Pil? Mica facile rispondere a una domanda così. Eppure è questo il primo quesito che verrà fatto ai tarantini se andrà in porto il referendum promosso da "Taranto futura". Referendum contro il quale sono stati sollevati davanti al Tar vari ricorsi. Non solo da parte dell’impresa presa di mira e della Confindustria ma anche della Cisl e della Cgil. L’Ilva rappresenta per la città pugliese, con i suoi 15 milioni di metri quadri di superficie, i suoi 200 chilometri di rete ferroviaria e 50 di strade interni, i suoi 9 milioni di tonnellate di acciaio solidificato, i suoi 13 mila dipendenti diretti e 7 mila nell’indotto, un colosso che pesa molto più della Fiat a Torino negli anni d’oro. Che la gigantesca industria siderurgica nata Italsider 50 anni fa (9 luglio 1959) e rilevata nel ’95 dal gruppo Riva abbia per decenni impestato Taranto, l’antica e nobile Taras della Magna Grecia, è fuori discussione. Lo certifica nel "Rapporto ambiente sicurezza 2009", edito per rasserenare gli animi, lo stesso Emilio Riva ammettendo che quando arrivò lui "gli stabilimenti della società, in particolare quello di Taranto, versavano in condizioni critiche e poca attenzione era riservata alle problematiche ambientali ". Tanto da costringerlo a investire "per l’ambiente e l’ecologia" complessivamente 907 milioni di euro.

 

Risultati? Ottimi, sostiene l’Ilva: riduzione "del 70% della concentrazione di polveri nei fumi dell’agglomerato", di "oltre l’80% nelle emissioni globali di ossido di zolfo", "oltre il 50% delle emissioni di cloro", "un ulteriore 50% di emissione di diossine" e via così... Di più: il consumo di acqua industriale è stato ridotto in 15 anni "del 40%" e sulle acque di scarico sono stati "investiti 110 milioni di euro per una riduzione fino al 98-99% di alcuni inquinanti". Ancora: su 5.514 campionamenti monitorati dal ministero dell'Ambiente "solo 16 hanno superato il limite di concentrazione della soglia di contaminazione prevista per i suoli a uso commerciale e industriale". No: risultati mediocri, ribattono gli ambientalisti. I quali ammettono che sì, una riduzione dei danni c’è stata, ma non sufficiente. "Secondo l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Taranto è la città più inquinata d’Italia — accusa Alessandro Marescotti di Peacelink —. Il nostro è l’unico caso in cui il 93% dell’inquinamento viene da polveri sottili di origine industriale e solo il 7% è costituito da quello di origine civile. I morti di cancro rispetto a una volta sono raddoppiati. Stando alle proiezioni dell’Arpa Puglia sulle rilevazioni del febbraio 2008 l’area a caldo emette 172 grammi/anno di diossina cioè quanto Spagna, Svezia, Austria e Gran Bretagna messe insieme". Non basta: "La relazione Inail "La mortalità per neoplasie a Taranto" di Miccio e Rinaldi dice che "si rileva che il quartiere più prossimo all’area industriale presenta valori di mortalità quasi tripli rispetto ad aree più distanti". E i terreni per venti chilometri intorno sono così contaminati che Vendola ha fatto un’ordinanza che vieta il pascolo…". Leo Corvace, di Legambiente, conferma: "Hanno già dovuto abbattere 1200 pecore e capre perché avevano trovato diossina nel latte e nelle carni. E ci risulta che purtroppo non è ancora finita". Fin qui, gli ambientalisti sono compatti. Anche a dispetto delle perplessità di scienziati come Carlo La Vecchia, capo del dipartimento di epidemiologia del "Mario Negri" di Milano, secondo il quale "i numeri dicono che nel loro complesso non vi è eccesso di tumori a Taranto. C’è stato, questo sì, un problema grave di esposizione all’amianto ma riguardava i cantieri navali. In ogni caso stiamo parlando di esposizioni a rischio in passato. Non oggi". Tesi raccolta dall’avvocato Francesco Perli, legale dei Riva, che rilancia: "L’Ilva non si è mai spostata da dove venne perimetrata e semmai ci fosse uno squilibrio è perché nell’anarchia si sono "avvicinati" abusivamente all’area industriale i quartieri Paolo VI e Tamburi". Risposta di Corvace: "Ma non è vero! Tamburi esisteva da prima dell’Italsider!".

Anche sulla chiusura della cosiddetta "area a caldo" dello stabilimento, già smantellata a Genova, i verdi sono d’accordo. Sul referendum, però, la frattura è netta. "Io sono del 1958 e voglio tornare a respirare l’aria che si respirava nel 1958", dice Marescotti. Corvace no: "Io l’anno prima del 1958 partii con i miei genitori per Dunkerque. Non possiamo rimpiangere quella Taranto da dove la gente era costretta a emigrare. Con l’Ilva ci dobbiamo trattare ma il referendum è sbagliato". Cifre alla mano, la fabbrica voluta non solo dalla Dc ma anche dalle sinistre (il titolo del "Corriere del giorno" fu: "Una nuova era si è iniziata a Taranto per la storia del Mezzogiorno d’Italia") pesa per il 75% sul Pil provinciale, per il 20% su quello regionale. E dipende dall’ex Italsider, direttamente o indirettamente, almeno una famiglia tarantina su tre. Va da sé che i quesiti referendari hanno aperto spaccature lancinanti. In particolare il primo: "Volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura dell’Ilva?". Sulle prime la domanda era avventata fino all’ingenuità: "Volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute, nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura dell’Ilva, con l’impegno del governo di tutelare l’occupazione, impiegando le maestranze per lo smantellamento e bonifica dell’area… ". Immediate ironie dei realisti: "E i pasticcini? Non chiediamo che il governo ci porti pure i pasticcini?"

Dicono i "duri e puri" alla Marescotti che "occorre uscire dalla monocultura, prima dei cantieri navali e poi dell’Italsider. La salute viene prima. In India sono più poveri di noi ma nel villaggio di Dhikia a una maxiacciaieria la gente si oppone". Dicono i pragmatici alla Corvace: "Noi ambientalisti non possiamo permetterci di uscire dal referendum dalla parte di chi perde. Dobbiamo trattare, trattare e trattare con l’azienda. Ma il referendum rischia di rivelarsi una sconfitta storica". Se è fetida l’aria spinta dal vento verso il quartiere Tamburi, non meno brutta è l’aria che tira dal punto di vista economico, produttivo, occupazionale. Anche perché è improbabile che lo Stato, invocato nell’iniziale quesito referendario, ambisca a tornare ad assistere i tarantini. La gestione del pubblico denaro negli ultimi anni, infatti, è stata indecente. A raccontarla tutta, la storia del crac del Comune di Taranto, il primo in assoluto in Italia ad avere un liquidatore come capita alle società fallite, ci sarebbe da scrivere un libro. Un po’ comico e un po’ horror. Prendete la faccenda dei semafori, scoperta da Cesare Bechis del "Corriere del Mezzogiorno ". Un bel giorno un funzionario butta un occhio sulle bollette: come è possibile che un semaforo costi meno di 18 euro di elettricità e un altro 1.749? Se fanno entrambi la stessa cosa (luce verde, gialla, rossa…) come è possibile che uno costi cento volte più di quell’altro? Sfoglia i conti e ci resta secco: non c’è semaforo che abbia una bolletta uguale a un altro. Come mai? A certi semafori si attaccavano con i cavi per fregare la luce tutti gli abitanti dei dintorni. Non c'è settore nel quale, per anni, le pubbliche casse non siano state viste come mammelle alle quali era "normale" succhiare il più possibile. Un paio di esempi? Tra tutti i conti presentati dai creditori del Comune (per un totale di 5.960 istanze di gente che diceva di avanzare soldi) spiccano tre parcelle di un avvocato per un totale di 150 mila euro. Mario Pazzaglia, il presidente veneto-marchigiano dell’Ols (l’Organo Straordinario di Liquidazione), non è convinto. Spulcia e scopre che si tratta di tre fatture per la stessa pratica. "Oh, scusate, un errore della segretaria…". Pagamento concordato: 6 mila euro. Venticinque volte di meno. Altro esempio? Lo racconta ancora Bechis: "Fatta cento la tassa sui rifiuti (Tarsu) accertata a carico di un nuovo contribuente, finisce nelle casse comunali il 26,34%". Poco più di un quarto. Ma soprattutto la metà di quello che si trattenevano le società (l’ultima fetta, storicamente, riguarda gli evasori) delegate agli accertamenti e alla riscossione. Che si portavano via addirittura il 47,29% sull’accertato. Un delirio. Per non dire della maxi evasione dell'Ici da parte delle grandi imprese, come la stessa Ilva, che per anni avevano "dimenticato" come l’imposta andasse pagata non solo per le opere in muratura. Totale dell’evasione accertata dal 2003 al 2007: 57 milioni. Una somma enorme. Tanto più per un Comune con l'acqua alla gola. C’è poi da stupirsi che Taranto sia affondata nel 2006 sotto una montagna di debiti che Pazzaglia e i suoi hanno definito proprio giovedì scorso in 835 milioni? E meno male che controllando documento su documento ("le fatture erano ricaricate in media del 40% e perfino Equitalia diceva di avanzare dal Comune 25 milioni e invece ne avanzava 4") la somma finale è stata ridotta. Quella iniziale era di 920. Cioè 14.000 euro di buco a famiglia.

Dovrebbero studiarla a scuola, la storia degli anni della Grandeur Tarantina. Quando il Comune era amministrato da Rossana Di Bello, una biologa titolare di alcune gioiellerie, fondatrice del primo club pugliese di Forza Italia, eletta nel 2000, rieletta trionfalmente nel 2005 e dimessasi l’anno dopo in seguito a una condanna per abuso di ufficio e falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta sull’inceneritore. Appalti incredibili. Contabilità allegra. Megalomanie. Al punto che fu avanzata l’idea (travolta dal crac) di costruire il Colosso di Zeus, una statua gigantesca che avrebbe dovuto ricordare l’antica opera di Lisippo. Colossale fu il buco lasciato dalla giunta berlusconiana. E colossale la legnata inflitta alle elezioni del 2008 alla Casa delle Libertà, precipitata in due anni dal 57,8 al 15,5%, con tracollo di 42,2 punti. Tanto che il ballottaggio per il sindaco vide scontrarsi due schieramenti di centrosinistra con travolgente vittoria (76%) di Ippazio Stefàno, un pediatra che dopo essere stato senatore pidiessino aveva chiuso con la politica attiva per dedicarsi al volontariato ed era appoggiato da un "fritto misto", dall’Udeur a Rifondazione comunista. Tre anni dopo, assediato da mille cittadini in difficoltà, mille beghe interne alla sinistra e mille grane ereditate dal crac ("non abbiamo diritto neppure ad avere un direttore generale o un addetto stampa e io me le sogno le venti persone nello staff che aveva la Di Bello!") il sindaco allarga le braccia: "Su 40 seggi la sinistra ne ha 29, la destra 11. Teoricamente dovrei leccarmi le dita. E invece è una lite al giorno. Per ragioni di bottega. Destra e sinistra, solo bottega. Un ostruzionismo continuo, che di fatto va contro la povera gente. Dibattiti sui destini della città, zero. La commissione ambiente e paesaggio, per dire, non è ancora stata nominata. Dovrebbe occuparsi delle spiagge. Siamo a metà luglio e il consiglio comunale non l’ha nominata. Non so se mi spiego". I conti, certo, vanno meglio. Le entrate Ici, per esempio, sono salite da 32 milioni nel 2006 a 45 l’anno scorso e probabilmente 55 quest'anno. Quelle della Tarsu da 19 a 33. Ma alcuni problemi annosi, spiega Stefàno, sono rimasti irrisolti: "Il Comune ha 2000 appartamenti e ne ricava 400 mila euro l’anno. Fatti i conti ogni appartamento rende 200 euro d’affitto. Da non dormirci di notte. Vorrei e dovrei censirli a uno a uno ma mi mancano perfino i vigili. Sulla carta ce ne sono 194 ma 56 figurano "non idonei". Ne restano 140, su due turni. Togli malattie, riposi, assenteisti e di fatto, la domenica, per una città di 200.000 abitanti, sì e no in servizio ce n’è una dozzina". I dipendenti comunali, dice, con "una pianta organica che era stata gonfiata fino a 1.750 dipendenti, sono calati da circa 1.500 a 1.050". Miracolo? Magari. Quando scoppiò il bubbone saltò fuori che decine di funzionari e dirigenti si erano auto-aumentati lo stipendio autocertificando di avere fatto per il Comune dei lavori al progetto. Buste paga da venti, trentamila euro al mese. Con punte di 39.160. Basti dire che a un certo Cataldo Ricchiuti, accusato di essersi regalato 567 mila euro di aumenti illegittimi, furono sequestrati 12 fabbricati, un terreno, 124 mila euro in banca…

Ma quelle megatruffe, spiega il sindaco, erano solo la punta dell’iceberg: "Tutti i dipendenti, salvo forse una ventina di persone pulitissime, avevano gli stipendi più alti. Dico tutti. Straordinari senza controllo, "progetti" pagati a parte per fare niente, autocertificazioni di familiari a carico... Tutto "normale" pareva. Quando ho cercato di ripristinare un po’ di serietà (ci guardavano come dei marziani rompicoglioni) chi poteva se n'è andato in pensione così che questa fosse calcolata sulla base dell’ultimo stipendio. Sa, piuttosto che vedersela conteggiare su una busta paga ribassata...". Dice che lui, con i conti messi in quel modo, lo stipendio da sindaco non lo tocca neppure: "Lo versano su un conto corrente a parte. E i soldi servono per fare tante cose. Pubbliche. Ame basta la pensione". Lo stesso Giancarlo Cito, incazzosissimo bastian contrario, riconosce che sì, "Ippazio è uno che fa le cose con spirito missionario. Pediatra bravissimo. Se i nipotini hanno un problema chiamo lui. Sarebbe un grande missionario in Africa. Per fare il sindaco di Taranto però servono gli attributi. Durissimi bisogna essere. Lui non lo è". Era dimagrito di 45 chili, l’ex sindaco costretto a dimettersi e poi condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa, quando nel 2006 "La Voce del Popolo" lo sparò spettrale in copertina col titolo: "Vi prego, non mi abbandonate!". Pagato il conto con la giustizia, anche se ha ancora qualche gatta da pelare, l'istrionico imprenditore televisivo sembra tornato quello di una volta. Che conquistò la carica di primo cittadino e poi un seggio alla Camera sventagliando sulla sua tv (Tbm: Tele Basilicata Matera ma i tarantini ammiccano che in realtà è Tele Benito Mussolini) raffiche di sgrammaticati insulti ai politici: "Siete delle carogne, dei ladri, dei delinquenti!". "Io vi do un sacco di botte perché avete rubato a quattro ganasce! ". "Signori che avete le orecchie a livello di Trombo di Eustacchio!". Per il momento, in politica, c’è tornato per interposta persona. Candidando il figlio Mario (l’unico candidato del pianeta muto come Bernardo, il servo di Zorro: "a parlare penso io") fino a portarlo incredibilmente al 20% alle comunali e addirittura al 30% (solo in città, si capisce) alle provinciali. Due trionfi. A dispetto della fama che ha nel resto d'Italia dai tempi in cui si candidò a sindaco di Milano con uno slogan purtroppo incompreso: "Voglio tarantizzare Milano. Farla diventare come la mia Taranto, la Svizzera del Sud". Una scalata cui seguì quella all’Europa per "tarantizzare Strasburgo ". Ora che l'interdizione dai pubblici uffici è scaduta si candiderà ancora? Cito gigioneggia: "Mah…". In ogni caso, convinto com’è di essere stato il più grande sindaco di tutti tempi ("io feci rimuovere 40 mila auto in seconda fila, io portare qui l’università, io scendere gli scippi a un paio l’anno…") è tornato a mostrare i muscoli. Letteralmente. Andando a nuoto da Reggio Calabria a Messina ("da Villa San Giovanni son capaci tutti") per glorificare l’idea di unire il Mezzogiorno contro l’odiata Lega Nord. Una nuotata alla Mao Tzetung? Ma va là: "Quello s’era fatto un bagnetto nel Fiume Giallo. Plop, plop, fine. Io invece...".

 

10 luglio 2010

 

REPUBBLICA

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2010-09-23

La nebbia dei veleni sopra Taranto

e il governo vara il decreto salva Ilva

Liberalizzate le emissioni di benzoapirene con un decreto legge del governo Berlusconi pubblicato il 13 agosto. Ecco come appare il cielo di Taranto, avvolto in una nebbia fitta e pericolosa di fumi tossici dell´Ilva

di GIULIANO FOSCHINI

La nebbia dei veleni sopra Taranto e il governo vara il decreto salva Ilva L'Ilva vista dal lungomare di Taranto con il cielo oscurato da una nube di veleni

Il 13 agosto del 2010 in Italia c´era qualcuno che lavorava. Era il governo Berlusconi e, quella mattina, ha partorito un decreto legge "per inquinare meglio e di più", denunciano le associazioni ambientaliste. A partire da Taranto dove, se mai ce ne fosse bisogno, le fotografie scattate negli ultimi giorni raccontano di una città sempre più avvolta in una nebbia fitta e pericolosa di fumi tossici dell´Ilva.

 

Il 13 agosto del 2010 in Italia c´era qualcuno che lavorava. Era il governo Berlusconi e, quella mattina, ha partorito un decreto legge "per inquinare meglio e di più", denunciano le associazioni ambientaliste. A partire da Taranto dove, se mai ce ne fosse bisogno, le fotografie scattate negli ultimi giorni raccontano di una città sempre più avvolta in una nebbia fitta e pericolosa di fumi tossici dell´Ilva. La pietra dell´ultimo scandalo è appunto questo decreto legge con il quale si sospende una vecchia legge, valida dal primo gennaio del 1999, che poneva il limite di un nanogrammo al metrocubo di emissioni di benzoapirene. Fino al 31 dicembre del 2012, dice il decreto legge pubblicato il 15 settembre, nelle città superiori ai 150mila abitanti invece non ci sarà più alcun limite. Libertà assoluta di inquinare.

"Una vergogna" ha tuonato il parlamentare dell´Italia dei valori Pierfelice Zazzera che ha già presentato un´interrogazione parlamentare. Secondo Zazzera, infatti, la legge di Ferragosto altro non è che un decreto "salva Ilva". "Una sanatoria - spiega il deputato - per aiutare Riva e l´Ilva sotto indagine dalla procura di Taranto proprio per disastro ambientale legato allo sforamento dei limiti di benzoapirene". Una tesi questa, però, che l´azienda rifiuta categoricamente: "Quello - dicono - era un obiettivo di qualità e non di legge ma comunque da anni le nostre tecnologie ci permettono di essere tranquillamente sotto quel limite".

In realtà sul benzoapirene proprio nelle ultime settimane si era scatenata una guerra con le associazioni ambientaliste nella quale era intervenuta anche la Regione con l´assessore all´Ambiente, Lorenzo Nicastro, che aveva convocato tavoli tecnici con l´Arpa e chiesto il rispetto delle regole. "Così si annulla tutto - dice però Alessandro Marescotti di Peacelink - Quel decreto ha evitato all´Ilva l´adozione di misure di contenimento delle emissioni cancerogene degli idrocarburi policiclici aromatici, una famiglia di componenti fra cui ci sono dei cancerogeni, come il benzoapirene che è un killer spietato. Grazie a questa legge non rischieranno più quello che invece sembrava invece inevitabile, e cioè il blocco della cokeria, la parte più pericolosa di tutto l´impianto". Proprio Peacelink un anno fa aveva fatto uno studio comparativo sul benzoapirene sostenendo che la quantità di veleno emanata è equivalente a fumare mille sigarette all´anno, bambini compresi. "Non è un caso - conclude Marescotti - perché non può esserlo che il Governo abbi avviato l´iter del decreto salva-Ilva il 13 maggio, cioè quando l´Arpa, noi e la Regione avevamo cominciato a denunciare con forza il problema del benzoapirene a Taranto".

(23 settembre 2010)

 

L'UNITA'

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2010-11-03

Ecco i veleni Ilva che stanno uccidendo Taranto

di Salvatore Maria Righitutti gli articoli dell'autore

Altroché che corro dei rischi, guardi qui": Fabio Matacchiera si accarezza la calibro 9 che sta nella fondina, sotto alla felpa. Non gli servirebbe, probabilmente, se non facesse l’ambientalista e non cercasse di liberare Taranto dalla diossina e dagli altri veleni. Ha ricevuto minacce piuttosto serie, da quando ha creato il Fondo anti-diossina, una onlus che ha scelto la trasparenza (tutti la contabilità è sul web) per raccogliere fondi e usarli per fare analisi e rilievi. Per misurare, cioè, quanti veleni ci sono nell’aria e nell’acqua della città dei due mari, del castello aragonese, ma anche delle nuvole rosse che di notte si muovono nel cielo sopra alle ciminiere, inquietanti e rumorose.

L’Ilva e le sue 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, la più grande d’Europa, è una cattedrale gotica che produce ricchezza e preoccupazioni a ritmo industriale. "Vent’anni fa era un ambiente di lavoro altamente nocivo, ora la situazione è ancora oscura e l’azienda non fa nulla per chiarirla": il professor Giorgio Assennato non è ecologista barricadero, ma il direttore dell’Arpa regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente. Da i dati che hanno raccolto in primavera sul quartiere Tamburi relativi alle emissioni di benzoapirene, oltre il 90% accertato viene proprio dalla cokeria dell’Ilva, si è messo in moto la macchina politica che ha portato il governo, a cavallo di Ferragosto, ad emettere a tempo di record un decreto che ha messo il bavaglio a norme e controlli fino al 2013. Un provvedimento che è difficile non immaginare scritto su misura per una grande impresa, quella che cinquant’anni fa nasceva come Cosider e poi è diventata Italsider, e che unica nel panorama italiano non ammette nel suo perimetro monitoraggi o controlli, come ricorda Assennato, a parte quelli previsti per legge sui camini per le emissioni standard. L’Arpa ha messo tre sensori due anni fa, ma tutti rigorosamente fuori dai muri e dai cancelli della fabbrica. Diventeranno presto sette e serviranno per tenere d’occhio gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici tra cui il famigerato benzoapirene.

Capita allora che passeggiando per il Tamburi, dove nei secoli scorsi percuotevano appunto quegli strumenti per avvisare la città dell’arrivo via mare dei saraceni, si cammini dentro un paesaggio lunare, anzi da Marte, con marciapiedi, strade e muri arrossati in modo innaturale da sbuffi di polveri, in termine tecnico "sloppate", che scappano via durante il ciclo produttivo da crepe, fessure e altri punti di cattivo funzionamento. Una coppia di signori è affacciati al primo piano della loro appartamento Iacp di Via Lisippo, un budello di case basse che stanno letteralmente sotto all’Ilva, sul lato del parco minerario dove per chilometri vengono stivate le materie prime necessarie al ciclo produttivo. C’è un costone di terra coperto da una pallida erba e una rete arrugginita a dividere queste abitazioni dal mostro di ferro, l’Ilva è grande due volte e mezzo Taranto. "Non c’è una famiglia dove non ci sia un morto o un malato di tumore o di altre malattie gravi: io sono stato operato due volte alla gola, molti hanno problemi di tiroide" racconta Oronzo, ricordando il pappagallino che per sbaglio una notte di qualche tempo ha dimenticato in balcone, con la gabbia. "La mattina l’ho trovato seccato, morto. Siamo costretti a vivere barricati in casa, perché di notte scoppia l’inferno tra nuvole, fumi e rumori e dobbiamo sigillarci dentro".

Tra gli effetti collaterali che sono il prezzo pagato da questo rione per una cattedrale industriale che impiega migliaia di tarantini, ci sono anche le ondate di scarafaggi che di notte escono dalle vasche dove finiscono, mescolati alle materie prime che le navi portano da tutto il mondo, e marciano su queste stradine fino a ricoprirle completamente: "Qualche notte fa ho visto l’asfalto che si muoveva, tutto nero, mi sono spaventata, erano quegli insetti" rincara Ornella, che vive qui dal ’56 e ci ha cresciuto due figli, ma come il marito non vede vie d’uscita. Non sanno dove andare e nessuno vuole più venire qui, dove le case sono fuori mercato per i prezzi precipitati e per un sentimento diffuso di abbandono, in questo rione di operai e lavoratori che negli anni 70 era una roccaforte del partito comunista. Perfino l’asfalto si è contaminato, con gli anni, e rifarlo è diventato un problema.

Qualche centinaio di metri alle spalle, passando per un mucchio di eternit abbandonato a cielo aperto, come se l’amianto in tutto questo fosse problema trascurabile, c’è il cimitero di San Brunone, il camposanto di Taranto.

Tombe nuove e vecchie, ornamentali, tutte ricoperte da un velo di ruggine rossa che si posa in modo incessante. Il grande cimitero è ai piedi della fabbrica e tempo fa l’Ilva, per dimostrare il suo cuore, regalò delle fontanelle a chi va a trovare i defunti: un cilindro di cemento e un rubinetto, il tutto su piattaforma di ghisa rigorosamente della casa, certo non uno sforzo enorme per una delle principali imprese italiane. Ma non ci sono solo le notti colorate e rumorose di questa gente che vive sotto al parco minerario, i paurosi sfiati e le esplosioni, le urla degli operai e dei capireparto. Ci sono anche i tumori aumentati del 600% negli ultimi 5 anni, anche se poi si scopre che a Taranto non esiste un registro per queste malattie, come se dimenticare fosse più semplice che viverci.

C’è il 93% di emissioni da polveri sottili che proviene dall’area industriale, l’unica città d’Europa che vive questo vassallaggio verso la sua zona produttiva e per i reparti e le filiere che portano pane, ma anche tutto il resto. C’è il mercurio che finisce in acqua dall’Ilva e che è un’incognita su cui, come tanti altri aspetti di questa città di mare e veleni, associazioni come PeaceLink danno battaglia e bussano alle porte dei magistrati. C’è un’inchiesta penale, nella procura guidata dal dottor Franco Sebastio, che attende gli incidenti probatori su diossina e benzoapirene, i grandi imputati alla sbarra di Taranto e e delle nostre coscienze.

03 novembre 2010

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2010-09-28

ENERGIE ALTERNATIVE

Il nuovo pannello solare?

È uno spray trasparente

Alcune aziende americane, norvegesi e cinesi annunciano di aver prodotto sistemi "a pellicola" applicabili su tutte le superfici e in grado di produrre energia elettrica. Ma siamo ancora nella fase dei prototipi, solo nel 2016 la produzione reale di PAOLO PONTONIERE

Il nuovo pannello solare? È uno spray trasparente

SAN FRANCISCO - La frontiera delle ricerca nel campo delle energie rinnovabili appartiene di sicuro alla nebulizzazione, cioé pannelli solari "spray" applicabili su qualunque superficie. Una tecnica favoleggiata già agli inizi del nuovo secolo, quella delle cellule solari che si spruzzano cioè come se fossero una lacca per capelli, che ricevette un forte impulso nel 2005 quando un gruppo di ricercatori dell'università di Toronto in Canada annunciò d'essere riuscito a produrre una plastica nanomerica. Non solo era in grado di sfruttare gli infrarossi solari per sviluppare energia elettrica, ma che per le sue proprietà chimico-fisiche poteva essere anche spruzzata sulla superficie di un edificio, di una macchina e anche dei vetri di casa come se fosse stata una vernice tradizionale.

Dalle potenzialità produttive portentose - almeno a livello teorico - la plastica solare pensata dai ricercatori canadesi sarebbe stata in grado di produrre 5 volte più energia elettrica di qualsiasi cellula solare che all'epoca era disponibile sul mercato. Sebbene al tempo i ricercatori avessero affermato che la nuova tecnologia era dietro l'angolo e avrebbe rivoluzionato il mercato del solare, fino ad oggi di applicazioni concrete e commercialmente appetibili non se ne sono ancora viste. La brillante idea dei ricercatori canadesi è rimasta quella che era: un'idea geniale che però non ha mai superato lo stadio del prototipo.

Le cose però adesso stanno per cambiare. E anche rapidamente. Una compagnia norvegese, la EnSol, ha infatti appena annunciato che entro il 2016 metterà in commercio una pellicola solare spruzzabile che potrà essere usata per dipingere qualsiasi superficie. Da quelle dei muri casalinghi, a quelle degli autoveicoli, agli steccati e anche i vetri delle finestre, in questo caso senza impedire il passaggio della luce.

A differenza della tecnologia annunciata nel 2005 dall'università canadese, quella della EnSol, grazie ad un nuovo metodo per la sua applicazione che sfrutta un processo simile a quello della parete fredda - quello che porta per esempio alla condensazione del vapore acqueo sulle finestre d'una macchina durante una giornata rigida - presenta dei grandi vantaggi pratici rispetto a tutte le altre soluzioni ipotizzate fino ad ora e si presta egregiamente all'applicazione sul vetro.

"Uno dei maggiori pregi della pellicola che si riesce a produrre con questo metodo è che la si può applicare senza nessuna difficoltà a qualsiasi superficie trasparente, anche alle finestre di casa, senza comprometterne le capacità intrinseche di far passare la luce, ad esempio", ha affermato Chris Binns, professore di nanotecnologia nel dipartimento di fisica e astronomia all'università di Liecester. Binns sta aiutando la EnSol a sviluppare un modello commerciabile della nanosostanza solare. "Ovviamente per produrre energia elettrica una parte della luce deve essere assorbita, diciamo un 8-10 per cento. Se lo si usa sulla finestre non si perde tanto, perché è come se ci fossero dei vetri affumicati. Quando la si applica alle pareti esterne di un edificio, e anche sui tetti, può essere usata come una vernice vera e propria, raggiungendo spessori più grandi che sono così in grado di produrre una maggiore quantità di energia". Alla EnSol sostengono che i loro pannelli spray sono in grado di convertire in energia elettrica oltre il 20 per cento dell'energia solare che assorbono.

Ma l'azienda norvegese non è l'unica a muoversi nelle atmosfere rarefatte della nanotecnologia solare. A farle compagnia ci sono anche cinesi e statunitensi. La prima, la CinHua, ha sviluppato un pannello solare che può essere usato per sostituire le finestre di un edificio. Usando le finistre prodotte da loro (che sebbene siano state presentate dal sito online Engadget all'inizio dell'anno sono ancora allo stato di prototipo), l'Empire State Building di New York (che di finestre ne possiede ben 6500) potrebbe produrre ogni giorno 13 kilowatt di energia elettrica.

Sul versante statunitense si distingue invece la New Energy Technologies che, in collaborazione con l'università della Florida meridionale, ha prodotto una vernice fotoreattiva - la SolarWindow - che può essere pure lei applicata ai vetri di una finestra e sulla cui tecnologia mantiene un riserbo strettissimo. Secondo la ditta americana, una finestra-pannello solare prodotta con il suo metodo ha un rendimento di 300 volte superiore a quello di un "pannello" tradizionale. Inoltre, a differenza delle vernici solari proposte dai suoi concorrenti, quella della New Energy Technology non solo può essere applicata a temperatura ambiente come si farebbe con qualsiasi vernice, ma riesce a produrre energia elettrica sia con la luce naturale che con quella artificiale.

(26 settembre 2010)

 

 

 

2010-09-27

CASA-COME RISTRUTTURARE RISPARMIANDO:

http://video.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Video/Economia%20e%20Lavoro/2010/videochat-casa/videochat-casa.php

 

Comincia oggi a produrre energia il più grande parco eolico offshore al mondo, che con le sue 100 turbine genererà elettricità sufficiente a illuminare 240mila case. Il mega impianto si trova al largo della coste britanniche, a Thanet, nel Kent, 12 chilometri al largo di Foreness Point, ed è stato inaugurato oggi dal segretario all'Energia Chris Huhne.

 

Videoforum/ Il prezzo del fotovoltaico. Italia vicina alla grid parity

(luglio 2009)

http://video.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Video/Economia%20e%20Lavoro/2009/v_forum_energie_alternative.php

 

 

 

 

Il fotovoltaico italiano vale tre miliardi di euro. Vai ai grafici interattivi

di Luca SalvioliCronologia articolo27 settembre 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 10:56.

Per il 2010 cielo sereno e sole abbondante, soprattutto al Nord. Le perturbazioni non dovrebbero offuscare il 2011. Con la benedizione del nuovo Conto energia la giovane industria del fotovoltaico dovrebbe vivere una fase di concentrazione e maturazione, ma con sempre più pannelli pronti a convertire in corrente elettrica i raggi del sole. Oggi, lunedì 27 settembre, in edicola con Il Sole 24 Ore del Lunedì il Rapporto "Sviluppo sostenibile" dedica 10 pagine di approfondimenti e notizie all'ecosistema del fotovoltaico.

I primi mesi di quest'anno, a dire il vero, non sono stati i migliori possibili. Il nuovo regime di incentivi ha avuto un parto difficile, tra pause di riflessione, tavoli rimandati causa elezioni regionali, bozze e contro bozze. Ora che la nebbia si è ritirata e c'è la certezza che dal 1º gennaio 2011 entreranno in vigore le nuove tariffe, gradualmente ridotte per scaglioni, si possono fare due conti. Osservando innanzitutto che per l'anticiclico segmento del fotovoltaico il 2009 è stato molto buono: la potenza cumulata installata in Italia è stata di 1.142 Mw di picco, ovvero 720 in più rispetto al 2008, quando erano 422 cumulati. La migliore performance è andata al Nord, ma nel Sud brilla la Puglia.

Il 2010 sta andando ancora meglio per la corsa al "vecchio" e generosissimo Conto energia. Secondo lo studio di A.T. Kearney I principali operatori nel settore del fotovoltaico in Italia realizzato da Marco Andreassi, Giorgio Ortolani e Tommaso Colombo, che "Il Sole 24 Ore" anticipa in esclusiva (si vedano i grafici interattivi), per fine anno verranno installati altri 850 Mw. La produzione di corrente elettrica con l'energia del sole arriverebbe così all'1 per cento.

Nel 2011 si potranno contare gli effetti delle nuove tariffe. "Il mercato potrà subire una contrazione della crescita – spiega Marco Andreassi, partner di A.T. Kearney –, tuttavia ci aspettiamo ancora il segno più. Si ridurrà il guadagno per le aziende, ma lo spazio per crescere c'è. Diventerà più importante puntare su progetti di qualità ed è prevedibile un consolidamento. L'industria maturerà. Si ridurranno i fenomeni speculativi". Altre indicazioni arriveranno dall'Energy summit che prende oggi il via nella sede milanese del "Sole 24 Ore".

Il segmento delle rinnovabili è giovane e ogni tentativo di interpretazione deve essere fluido. Il suo grado di salute dipende dagli incentivi pubblici, sia in Italia che nel resto del mondo, dunque la geografia globale degli investimenti si muove dove questi sono più generosi. Fino a un paio di anni fa l'Eldorado era la Spagna, ora l'Italia, domani chissà. Uno dei volani principali degli ultimi anni è stato il drastico calo dei prezzi, che va più veloce del l'aumento dell'efficienza dei pannelli e – pur con qualche oscillazione – dovrebbe proseguire: secondo la ricerca i moduli potrebbero arrivare a 1 dollaro per Watt nel 2015 (oggi il prezzo è tra 1,5 e 2 dollari). Nel 2009 le aziende italiane del settore nel nostro paese hanno registrato ricavi per 2,35 miliardi di euro, in crescita del 39% rispetto agli 1,69 del 2008. Sono cresciuti di più i Megawatt dei fatturati proprio per effetto del crollo del prezzo di moduli e componenti dovuto all'eccessiva fornitura, la riduzione di oltre il 50% del prezzo del silicio, l'aumento della produzione di moduli a film sottile e la crescita di parchi di grosse dimensioni. La previsione è che il valore del settore a fine 2010 sia di circa 3 miliardi di euro.

"Vista la giovane età dell'industria, non si sono ancora imposti leader chiari – continua Andreassi –. I top player sono cresciuti, ma non in maniera enorme, per via dell'esplosione di nuovi operatori. Le aziende attive sono circa 600". A partire dalla distribuzione e installazione (circa 350 operatori), generazione e trading (100), produzione di celle e moduli (40), produzione di inverter e componenti (90) e infine di silicio e wafer, dove tuttavia ci sono solo alcune iniziative imprenditoriali che attendono di vedere la luce. Secondo la ricerca di A.T. Kearney i "top player" del 2010 in termini di ricavi, in ordine decrescente, in Italia sono stati: Kerself, Solon, Enel, Enerpoint, Conergy, Solarday, Enerqos, Terni energia, Enerray, Answer drives.

Tra i grossi progetti che stanno prendendo piede va menzionato il più grande stabilimento di produzione di pannelli fotovoltaici su scala industriale in Italia (uno dei più grandi in Europa) a Catania, con una partnership tra Enel, Sharp e StM. Il Cipe ha sbloccato il progetto a fine luglio dopo le minacce di abbandono del colosso giapponese causa tempi biblici di approvazione degli incentivi per la realizzazione (si veda il Sole 24 Ore del 12 maggio). Enel Green Power, la controllata della utility dedicata al business delle rinnovabili in Italia e nel mondo, si avvicina intanto alla quotazione in Borsa prevista nelle prossime settimane.

In generale "lo scenario competitivo globale è molto acceso, con grossi gruppi asiatici come Suntech e Sharp o americani come First Solar – spiega Luca Zingale, direttore scientifico di Solarexpo –. Il fotovoltaico diventa sempre di più un prodotto di consumer electronics, come dimostra l'ingresso di Panasonic e i movimenti di Samsung e Lg". Un settore dove l'Italia invece fatica, "anche se si intravede un'opportunità per il made in Italy, e cioè la proposta di soluzioni di integrazione architettonica spinta per il patrimonio italiano". Sono nate diverse aziende in un segmento che concilia design, ricerca e produzione di energia con tecnologia fotovoltaica. In alcuni casi si tratta di costole di imprese che da decenni operano nella tradizione ceramica italiana. Si va dalle tegole fotovoltaiche alle coperture esterne di edifici anche di grosse dimensioni. "Di certo non possiamo concorrere con i cinesi sui prezzi di produzione – spiega Attilio Russo, direttore tecnico di System Photonics, azienda di Fiorano che vende moduli fotovoltaici inseriti su lastre ceramiche per tetti ed esterni e quest'anno prevede di raddoppiare la produzione –, ma spostando l'asse della competizione sul design l'Italia può dire la sua e essere molto apprezzata anche all'estero".

Twitter.com/24energia

luca.salvioli@ilsole24ore.com

 

 

Dal 2011 il conto energia taglia i bonus Dal 2011 il conto energia taglia i bonus per il fotovoltaico, ecco come

di Silvio Rezzonico e Giovanni TucciCronologia articolo13 settembre 2010Commenti (2)

Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 09:26.

L'attesissimo decreto sul conto energia per gli anni 2011-2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 agosto e gli operatori tirano un sospiro di sollievo: oltre a poter finalmente dare certezze ai propri clienti (il portafoglio ordini per quest'anno era ormai esaurito), i previsti tagli agli incentivi si sono rivelati tutto sommato accettabili e qualche timore è stato fugato: per esempio sono stati reintrodotti i premi per la rimozione dell'amianto.

Le riduzioni, che oscillano tra il 18 e il 20% nel 2011 e un ulteriore 6% per gli impianti che entreranno in esercizio nel 2012 e nel 2013, sono in parte compensate dal calo del costo dei pannelli: solo due o tre anni fa era da preventivare un investimento complessivo di circa 21mila euro, per un impianto di 3 kW nell'Italia settentrionale. Ora si è scesi grosso modo a 16.500 euro, pur utilizzando moduli di buona qualità.

Prezzi in discesa

Gli incentivi del conto energia restano tra i più generosi d'Europa e si spera che già nel corso del 2011 – anno in cui le tariffe incentivanti si ridurranno progressivamente nel primo, secondo e terzo quadrimestre – il prezzo dei pannelli, e soprattutto quello degli inverter, si adegui al calo degli incentivi. In passato, infatti, alla generosità dei bonus si erano accompagnati prezzi sensibilmente più elevati che nel resto d'Europa (lo aveva denunciato anche il Gse).

Oggi gli equilibri sono mutati, grazie all'aumento della concorrenza e a una maggiore attenzione alle esigenze di mercato. Qualche disfunzione, comunque, c'è ancora, almeno a sentire gli operatori: "Poiché è in atto la rincorsa a finire gli impianti entro il 31 dicembre 2010 per poter godere degli incentivi in corso – spiega Tiziano Dones di T&G Sistemi – gli inverter a pronta consegna sono divenuti introvabili, se non con aumenti dal 30 al 60% dei prezzi".

D'altra parte, la maggiore concorrenza porta con sé una maggiore differenziazione dei prodotti. A livello di prezzi, si va dai 1.200 euro/kW per i moduli di bassa qualità, ai 1.600 euro/kW per quelli "normali", ai 1.800-2.000 euro/kW per quelli di elevata qualità, fino a toccare i 3.000 euro/kW per quelli con tecnologia avanzata e ottima efficienza. Insomma, il committente, e i tecnici incaricati, debbono prestare sempre maggiore attenzione alla qualità dell'impianto realizzato, per non avere pessime sorprese.

Due nuove categorie

Le novità tariffarie del nuovo conto energia sono sintetizzate nelle tabelle a destra e nella scheda qui a fianco. Come si può notare, sono state dettagliate rispetto al passato le agevolazioni, non più ripartite in tre diversi livelli di potenza del fotovoltaico, ma in sei.

Inoltre, la categoria degli impianti integrati negli edifici è stata abrogata e ne è nata una nuvoa, che prevede requisiti più rigidi di efficienza energetica. Per gli impianti su pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline è débâcle: prima erano al top degli incentivi, perché considerati integrati, ora hanno tariffe pari a alla media aritmetica tra gli impianti sul tetto e quelli a terra. Anche gli impianti a concentrazione (dove specchi riflettenti seguono il moto del sole concentrandolo sulle cellule) hanno tariffe ad hoc. Infine, i premi aggiuntivi sono stati riparametrati.

Tempi più lunghi

Tra le altre novità procedurali, l'allungamento dei tempi burocratici. Il responsabile dell'impianto ha 90 giorni dalla data di entrata in esercizio (e non più 60) per presentare la richiesta di incentivo al Gse. Quest'ultimo, però, può attendere 120 giorni (e non più 60) prima di pronunciarsi. In teoria, le procedure per l'accesso alle tariffe restano quelle contenute nel decreto ministeriale 19 febbraio 2007, ma in pratica l'Autorità per l'energia dovrà adeguarle al nuovo decreto, con delibera da emanarsi entro 60 giorni.

L'allegato 3 al decreto definisce la documentazione, più dettagliata rispetto al passato, per la richiesta di concessione, in sostituzione a quella prevista dalla delibera Aeeg 90/2007. Tuttavia l'Authority dovrà predisporre i nuovi prestampati di domanda e le nuove schede tecniche.

Il nodo della cumulabilità

L'articolo 5 affronta i dubbi sulla cumulabilità con altri incentivi, erogati per esempio dagli enti locali. In estrema sintesi, i contributi in conto capitale, in misura non superiore al 30% (e non più del 20%, come in passato), sono cumulabili solo per gli impianti con potenza nominale non superiore a 3kW o per gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative e a concentrazione.

Fanno eccezione gli impianti realizzati su scuole, ospedali o edifici sedi di enti locali, purché anch'essi di proprietà pubblica, che, possono ricevere contributi fino al 60% dell'investimento. Restano le vecchie regole in caso di bandi emanati prima del decreto con relativi impianti realizzati entro il 2011.

Agevolazioni extra

Incentivi ulteriori, cumulabili con le tariffe ma non tra loro

Impianti sugli edifici

+10% della tariffa se installati in sostituzione di coperture in eternit o contenenti amianto

+5% della tariffa se realizzati da Comuni con meno di 5mila abitanti e in scambio sul posto in caso di riduzione di almeno il 10% degli indici di prestazione energetica estiva e invernale dell'involucro: maggiorazione percentuale della tariffa pari alla metà della percentuale di riduzione del fabbisogno di energia. Tetto del 30% in più della tariffa riconosciuta alla data di entrata in esercizio dell'impianto

Impianti non sugli edifici

+5% della tariffa se ubicati in zone classificate entro il 25 agosto 2010 dallo strumento urbanistico come industriali, commerciali, cave, area di pertinenza di discariche o di siti contaminati. In alternativa, sono possibili contributi in conto capitale fino al 30%, erogati da enti pubblici.

Sistemi a scambio prevedibile

+20% tariffa per l'energia prodotta in ciascun giorno in cui si è rispettato il programma orario (impianti con potenza da 200 kW a 10 MW che hanno un profilo complessivo di scambio con la rete che rispetta un programma tra le 8 e le 20).

Impianti a concentrazione

Tariffe particolari sono previste per gli impianti a concentrazione da 1 a 5.000 kW, ma solo a favore delle persone giuridiche e degli enti pubblici.

 

 

 

 

Il 55% cerca il pareggio dei conti

di Cristiano Dell'Oste e Giovanni ParenteCronologia articolo27 settembre 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 08:06.

Dipendesse dalle imprese, il bonus del 55% sarebbe già stato prorogato oltre il 2010. Anzi, sarebbe ormai stabilizzato. Invece la scadenza del 31 dicembre si avvicina, e nessuno al momento è in grado di dire che fine farà la detrazione fiscale sugli interventi di risparmio energetico. Senza proroghe, tutto si chiuderà a fine anno, e ai contribuenti resterà solo il 36% sulle ristrutturazioni edilizie (già prolungato al 2012).

 

Questione di numeri e di costi: dal ministero dell'Economia, l'ultima presa di posizione ufficiale è quella del sottosegretario Luigi Casero, che un anno fa aveva ipotizzato di prorogare il 55% "l'anno prossimo". Cioè nel 2010. Il tema, però, sembra uscito dall'agenda politica e – nel silenzio delle autorità – si fa strada l'idea che la detrazione possa essere troppo costosa per le casse pubbliche.

I dati dell'Enea dicono che tra il 2007 e il 2009 i privati hanno investito 7,9 miliardi per effettuare interventi agevolati (infissi isolanti, caldaie a condensazione, panelli solari, coibentazioni). Alla fine del 2010, si stima, il totale arriverà a 11,1 miliardi, che corrispondono a 6,1 miliardi di detrazioni.

È questo il costo per l'erario? Da un punto di vista puramente contabile, sì, ma bisogna valutare che le minori entrate sono diluite in un arco di tempo piuttosto lungo, in base al numero di anni in cui i contribuenti devono ripartire la detrazione. Il grafico a destra simula questa situazione, misurando – anno per anno – le minori imposte incassate dal fisco. Di fatto, anche senza proroga, l'erario continuerebbe a pagare il 55% fino al 2015.

Tutto questo ragionamento, però, trascura due aspetti fondamentali. Primo: se non ci fosse stato il 55%, i proprietari avrebbero comunque avuto il 36% sulle ristrutturazioni edilizie. Secondo: negli 11,1 miliardi spesi dai privati per riqualificare gli edifici, c'è anche una fetta di lavori che – senza il 55% – non sarebbero stati effettuati o sarebbero stati effettuati in nero. Su questo secondo punto non esistono dati certi, ma qualche indicazione può arrivare da un sondaggio del Cresme, secondo cui il 28% di coloro che hanno effettuato lavori per il risparmio energetico non li avrebbe fatti senza la detrazione, mentre il 19% avrebbe speso il minimo indispensabile. Se fosse davvero così, vorrebbe dire che 4,1 degli 11,1 miliardi di lavori agevolati sono stati "indotti" dalla presenza del 55 per cento. Quindi, le imprese che hanno eseguito questi lavori hanno versato tributi che altrimenti lo stato non avrebbe incassato.

Considerando che le casse pubbliche avrebbero comunque dovuto pagare il 36%, e tenendo conto delle imposte sui lavori "indotti", il costo effettivo del 55% scende da 6,1 a 2,9 miliardi di euro. È vero quindi che la detrazione si autofinanzia almeno in parte, come sostengono i suoi sponsor. Ma è vero anche che il bilancio della misura può chiudere in attivo solo se si conteggiano anche le ricadute non fiscali.

Proprio per soppesare tutti gli aspetti in gioco, l'Enea ha commissionato al Cresme un rapporto dettagliato, che ora è sul tavolo dei dirigenti del ministero dello Sviluppo economico, insieme a un altro report – elaborato direttamente dall'Enea – che misura gli effetti benefici della detrazione sulla filiera produttiva, i prezzi e la concorrenza.

Secondo i dati anticipati in un recente convegno, il Cresme calcola che il bilancio al 2015 del 55% sia positivo per il sistema-paese, grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale, all'incremento del reddito immobiliare che i proprietari potrebbero ricavare affittando le case riqualificate e, infine, alle maggiori entrate per il fisco (nell'ipotesi che i soldi restituiti agli 800mila beneficiari della detrazione siano subito spesi e alimentino nuove imposte). E questo senza quantificare altre ricadute socio-economiche, come il sostegno all'occupazione in una fase di difficoltà per l'edilizia. Si tratta allora di capire se il fisco vorrà e potrà continuare a sostenere una misura che innesca tutte queste "ricadute".

"Chiediamo che il rapporto venga trasmesso al più presto al ministero dell'Economia e siamo disponibili a essere ascoltati", spiega Angelo Artale, direttore generale di Finco, la federazione che rappresenta la filiera delle costruzioni. "Il 55% è una misura di sviluppo, positiva per tutti, non solo per le imprese", aggiunge. Un altro rapporto sarà presentato sabato prossimo all'assemblea generale di Uncsaal, altra associazione di categoria, e chissà che non emerga qualche certezza in più.

 

 

 

 

Dal 2011 il conto energia taglia i bonus Dal 2011 il conto energia taglia i bonus per il fotovoltaico, ecco come

di Silvio Rezzonico e Giovanni TucciCronologia articolo13 settembre 2010Commenti (2)

Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 09:26.

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L'attesissimo decreto sul conto energia per gli anni 2011-2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 agosto e gli operatori tirano un sospiro di sollievo: oltre a poter finalmente dare certezze ai propri clienti (il portafoglio ordini per quest'anno era ormai esaurito), i previsti tagli agli incentivi si sono rivelati tutto sommato accettabili e qualche timore è stato fugato: per esempio sono stati reintrodotti i premi per la rimozione dell'amianto.

Le riduzioni, che oscillano tra il 18 e il 20% nel 2011 e un ulteriore 6% per gli impianti che entreranno in esercizio nel 2012 e nel 2013, sono in parte compensate dal calo del costo dei pannelli: solo due o tre anni fa era da preventivare un investimento complessivo di circa 21mila euro, per un impianto di 3 kW nell'Italia settentrionale. Ora si è scesi grosso modo a 16.500 euro, pur utilizzando moduli di buona qualità.

Prezzi in discesa

Gli incentivi del conto energia restano tra i più generosi d'Europa e si spera che già nel corso del 2011 – anno in cui le tariffe incentivanti si ridurranno progressivamente nel primo, secondo e terzo quadrimestre – il prezzo dei pannelli, e soprattutto quello degli inverter, si adegui al calo degli incentivi. In passato, infatti, alla generosità dei bonus si erano accompagnati prezzi sensibilmente più elevati che nel resto d'Europa (lo aveva denunciato anche il Gse).

Oggi gli equilibri sono mutati, grazie all'aumento della concorrenza e a una maggiore attenzione alle esigenze di mercato. Qualche disfunzione, comunque, c'è ancora, almeno a sentire gli operatori: "Poiché è in atto la rincorsa a finire gli impianti entro il 31 dicembre 2010 per poter godere degli incentivi in corso – spiega Tiziano Dones di T&G Sistemi – gli inverter a pronta consegna sono divenuti introvabili, se non con aumenti dal 30 al 60% dei prezzi".

D'altra parte, la maggiore concorrenza porta con sé una maggiore differenziazione dei prodotti. A livello di prezzi, si va dai 1.200 euro/kW per i moduli di bassa qualità, ai 1.600 euro/kW per quelli "normali", ai 1.800-2.000 euro/kW per quelli di elevata qualità, fino a toccare i 3.000 euro/kW per quelli con tecnologia avanzata e ottima efficienza. Insomma, il committente, e i tecnici incaricati, debbono prestare sempre maggiore attenzione alla qualità dell'impianto realizzato, per non avere pessime sorprese.

Due nuove categorie

Le novità tariffarie del nuovo conto energia sono sintetizzate nelle tabelle a destra e nella scheda qui a fianco. Come si può notare, sono state dettagliate rispetto al passato le agevolazioni, non più ripartite in tre diversi livelli di potenza del fotovoltaico, ma in sei.

Inoltre, la categoria degli impianti integrati negli edifici è stata abrogata e ne è nata una nuvoa, che prevede requisiti più rigidi di efficienza energetica. Per gli impianti su pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline è débâcle: prima erano al top degli incentivi, perché considerati integrati, ora hanno tariffe pari a alla media aritmetica tra gli impianti sul tetto e quelli a terra. Anche gli impianti a concentrazione (dove specchi riflettenti seguono il moto del sole concentrandolo sulle cellule) hanno tariffe ad hoc. Infine, i premi aggiuntivi sono stati riparametrati.

Tempi più lunghi

Tra le altre novità procedurali, l'allungamento dei tempi burocratici. Il responsabile dell'impianto ha 90 giorni dalla data di entrata in esercizio (e non più 60) per presentare la richiesta di incentivo al Gse. Quest'ultimo, però, può attendere 120 giorni (e non più 60) prima di pronunciarsi. In teoria, le procedure per l'accesso alle tariffe restano quelle contenute nel decreto ministeriale 19 febbraio 2007, ma in pratica l'Autorità per l'energia dovrà adeguarle al nuovo decreto, con delibera da emanarsi entro 60 giorni.

L'allegato 3 al decreto definisce la documentazione, più dettagliata rispetto al passato, per la richiesta di concessione, in sostituzione a quella prevista dalla delibera Aeeg 90/2007. Tuttavia l'Authority dovrà predisporre i nuovi prestampati di domanda e le nuove schede tecniche.

Il nodo della cumulabilità

L'articolo 5 affronta i dubbi sulla cumulabilità con altri incentivi, erogati per esempio dagli enti locali. In estrema sintesi, i contributi in conto capitale, in misura non superiore al 30% (e non più del 20%, come in passato), sono cumulabili solo per gli impianti con potenza nominale non superiore a 3kW o per gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative e a concentrazione.

Fanno eccezione gli impianti realizzati su scuole, ospedali o edifici sedi di enti locali, purché anch'essi di proprietà pubblica, che, possono ricevere contributi fino al 60% dell'investimento. Restano le vecchie regole in caso di bandi emanati prima del decreto con relativi impianti realizzati entro il 2011.

Agevolazioni extra

Incentivi ulteriori, cumulabili con le tariffe ma non tra loro

Impianti sugli edifici

+10% della tariffa se installati in sostituzione di coperture in eternit o contenenti amianto

+5% della tariffa se realizzati da Comuni con meno di 5mila abitanti e in scambio sul posto in caso di riduzione di almeno il 10% degli indici di prestazione energetica estiva e invernale dell'involucro: maggiorazione percentuale della tariffa pari alla metà della percentuale di riduzione del fabbisogno di energia. Tetto del 30% in più della tariffa riconosciuta alla data di entrata in esercizio dell'impianto

Impianti non sugli edifici

+5% della tariffa se ubicati in zone classificate entro il 25 agosto 2010 dallo strumento urbanistico come industriali, commerciali, cave, area di pertinenza di discariche o di siti contaminati. In alternativa, sono possibili contributi in conto capitale fino al 30%, erogati da enti pubblici.

Sistemi a scambio prevedibile

+20% tariffa per l'energia prodotta in ciascun giorno in cui si è rispettato il programma orario (impianti con potenza da 200 kW a 10 MW che hanno un profilo complessivo di scambio con la rete che rispetta un programma tra le 8 e le 20).

Impianti a concentrazione

Tariffe particolari sono previste per gli impianti a concentrazione da 1 a 5.000 kW, ma solo a favore delle persone giuridiche e degli enti pubblici.

 

 

Dal 2011 il conto energia taglia i bonus Dal 2011 il conto energia taglia i bonus per il fotovoltaico, ecco come

di Silvio Rezzonico e Giovanni TucciCronologia articolo13 settembre 2010Commenti (2)

Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 09:26.

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Documenti

* Gli impianti sugli edifici

* Gli impianti non realizzati sugli edifici

*La simulazione

 

 

 

Normativa

* Il Fisco agevola la produzione di energia verde per usi domestici

* Sul nucleare golden share al governo. Certificati verdi più difficili per le rinnovabili

* Sussidi al fotovoltaico giù fino al 40%

* Ecco (con 7 anni di ritardo) le linee guida per le rinnovabili

* Via libera al nuovo Conto energia per il fotovoltaico

 

 

Il Fisco agevola la produzione di energia verde per usi domestici

di Claudio TucciCronologia articolo26 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 11:51.

Il Fisco agevola la produzione di energia verde destinata a usi domestici. Il chiarimento è arrivato direttamente dalle Entrate che ha spiegato come la tariffa fissa omnicomprensiva versata dal Gestore dei servizi energetici (Gse) alle persone fisiche e gli enti non commerciali che immettono in rete l'energia prodotta con impianti fino a 20 kw usati per alimentare l'abitazione privata o la sede dell'organizzazione non é imponibile ai fini Iva. Mentre, aggiungono, sul fronte delle imposte, va annoverata tra i redditi diversi.

Il punto, spiegano dalle Entrate, è che l'immissione in rete dell'energia non autoconsumata costituisce sempre un'attività commerciale, a patto però di essere effettuata da persone fisiche o enti non commerciali titolari di impianti non destinati a soddisfare principalmente bisogni "personali" o con una potenza superiore ai 20 kw. Una regola valida anche quando i sistemi di produzione sono gestiti da contribuenti che svolgono attività commerciale o di lavoro autonomo. In tutti questi casi, quindi, ricorda il Fisco, la tariffa omnicomprensiva rappresenta un corrispettivo di vendita soggetto a Iva e, per quanto riguarda la tassazione diretta, un ricavo che concorre alla determinazione del reddito d'impresa.

Discorso diverso invece quando la tariffa omnicomprensiva (che si chiama così perché il produttore che benenficia di tale tariffa non ha il diritto di vendere l'energia prodottta, quindi rinuncia a qualsiasi ulteriore corrispettivo economico) viene corrisposta nei confronti di soggetti titolari di impianti da fonte eolica o da altre fonti, posti a servizio dell'abitazione o della sede dell'ente oppure di impianti di potenza fino a 20 kw. Ciò perchè, spiegano dal Fisco, "l'immissione in rete di energia, effettuata alle suddette condizioni, non configura un'attività commerciale svolta abitualmente in quanto l'impianto è destinato a soddisfare principalmente bisogni personali".

In ogni caso, concludono dalle Entrate, la tariffa omnicomprensiva non è mai soggetta a ritenuta alla fonte del 4% di cui all'articolo 28 del Dpr n. 600 del 1973, in quanto, spiegano, "costituisce un corrispettivo e non un contributo".

 

Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2010 alle ore 09:26.

L'Europa chiama alle energia rinnovabili con la formula "20 20 20" (riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra, 20% di ricorso alle fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico, il tutto sul consumo primario di energia) e il Governo italiano deve consegnare a Bruxelles in questi giorni il Piano d'Azione Nazionale per l'attuazione del Pacchetto Clima Ue per il 2020.

Ma il nostro Paese è pronto? A fare il punto sugli aspetti più strategici oggi all'Ambrosiana a Milano un workshop dal titolo: "Energie Rinnovabili. 20 20 20: prospettive sostenibili in Italia". L'incontro ha il patrocinio della Provincia di Milano ed è sostenuto da APER e Pianeta Vivo. Intervengono Guido George Lombardi, Fondatore Pianeta Vivo; Gianluca Alimonti, Docente Fondamenti di Energetica, INFN e Università degli Studi di Milano, su "Le FER e il Pacchetto 20 20 20"; Massimo Gallanti, dirett

ore Sviluppo dei Sistemi Elettrici, ERSE, su "Il sostegno delle FER nel Piano d'Azione Nazionale"; Stefano Alaimo, responsabile Unità Gestione Mercati per l'Energia, GME, su "Il ruolo del mercato dei certificati verdi"; Marco Pigni, direttore APER, Associazione Produttori Energie da Fonti Rinnovabili, su " FER: prospettive di sviluppo"; Luigi Bodria, Coordinatore del corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie, Università Studi Milano, su "Agroenergie: scenario italiano"; Michelangelo Marinelli, presidente CEG-calore energia gas- e direttore del fondo internazionale di private equity Fonsicar Energy, specializzato in energie rinnovabili, su il tema ‘Investire nelle FER', affrontando tra l'altro l'aspetto delle tortuosità burocratiche che frenno gli investimenti, la questione etica dell'utilizzo di fonti edibili e le opportunità produttive nel settore agricolo in Italia, la filiera corta e l'importanza dell'innovazione.

Nel corso del convegno viene presentato www.orizzontenergia.it, portale indipendente per l'energia. Giorgio Ruscito, amministratore delegato di Areté Energia, la società che lo ha realizzato, spiega che "abbiamo creato il portale in quanto mezzo ideale di divulgazione e piattaforma adatta a promuovere l'incontro ed il confronto fra gli esperti ed i non addetti, il pubblico, che è l'utente finale del mercato energetico e quindi il primo attore di cui tener conto. Siamo convinti infatti che una informazione puntuale e professionale, nel rispetto dell'ambiente e delle esigenze globali di crescita economica, sia alla base del consenso di cui il nostro Paese ha bisogno per potere realizzare le sue strategie, in particolare in previsione dell'attuazione del Piano 20 20 20. Per questo motivo abbiamo voluto prima di tutto assicurarci un Comitato Scientifico che esprimesse il massimo del know how e della autorevolezza".

 

 

 

 

 

Energia solare e fisco. Chi deve pagare le tasse e chi no

di Gian Paolo TosoniCronologia articolo12 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2010 alle ore 08:05.

La produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica sia ai fini dell'autoconsumo personale o aziendale, sia per la vendita vera e propria è una attività che coinvolge privati e imprese. Il crescente interesse a tale forma di produzione di energia è giustificato dalla forte sovvenzione (tariffa incentivante) che il sistema energetico nazionale elargisce ai soggetti che installano queste tipologie di impianti.

Tre esempi diversi di trattamento fiscale e Le istruzioni per l'uso per i privati e le imprese

Tariffa incentivante

I soggetti che producono energia da impianti fotovoltaici sono destinatari di una tariffa incentivante erogata dal Gse pari a circa 0,40 euro per kw. Il contributo è soggetto alla ritenuta d'acconto del 4% quando il percettore è una impresa commerciale o un professionista. Le imprese agricole individuali e le società semplici sono escluse da tale prelievo.

Persone fisiche

Un privato (o un ente non commerciale) può installare un impianto fotovoltaico di potenza non superiore a 20 kw per far fronte ai bisogni energetici domestici quando l'impianto è posto direttamente al servizio della abitazione.

Può optare per il servizio di scambio sul posto che consiste nell'operare una compensazione tra l'energia elettrica prodotta con i propri pannelli fotovoltaici e automaticamente immessa in rete e l'energia elettrica prelevata per le proprie esigenze familiari. Secondo le regole fissate dalla Autorità sull'energia e gas con la delibera n. 74/2008 tutta l'energia prodotta viene immessa in rete e quella consumata viene fornita e fatturata dal fornitore territorialmente competente. Il costo sostenuto per l'acquisto di energia verrà rimborsato dal gestore dei servizi elettrici (Gse) mediante un contributo in conto scambio sul posto pari al minore tra il valore dell'energia prodotta e quello dell'energia consumata al netto dell'Iva; l'Iva è l'unico onere che rimane a carico del contribuente. Ove la produzione di energia immessa in rete risulti superiore, la differenza è riportata a credito negli anni successivi. Il privato riceve anche il contributo per aver realizzato l'impianto e cioè la tariffa incentivante. Entrambe le somme riscosse sono irrilevanti fiscalmente.

Il privato può anche non optare per il servizio di scambio sul posto e cedere l'energia al Gse. In questo caso i proventi derivanti dalla vendita dell'energia eccedente quella consumata rilevano fiscalmente come redditi diversi e cioè come attività commerciale occasionale. In questo caso la circolare dell'Agenzia delle Entrate n.46/2007 non è adeguata alla nuova procedura del cambio sul posto in quanto considera l'ipotesi in cui il privato incassava dal Gse la sola differenza tra energia prodotta e consumata, mentre ora riceve il rimborso del costo della energia consumata a titolo di contributo e la differenza a titolo di energia venduta. Il meccanismo dovrebbe funzionare così: se il privato produce 15 e consuma 10, riceve dal Gse 10 a titolo di contributo per scambio sul posto irrilevante fiscalmente e 5 a titolo di cessione di energia che rappresenta un reddito diverso, fuori campo Iva in assenza del presupposto soggettivo.

Se invece il privato installa un impianto di potenza superiore a 20 kw oppure l'impianto non è collocato al servizio della abitazione dovrà considerare ceduta l'energia immessa in rete. Tale operazione realizza una attività commerciale rilevante ai fini dell'Iva e delle imposte dirette e quindi il titolare dell'impianto deve aprire la partita Iva con tutti gli adempimenti conseguenti. La tariffa incentivante non è soggetta a Iva ma è rilevante ai fini delle imposte dirette.

Imprese

Qualora la formula dello scambio sul posto sia adottata da una impresa, la gestione fiscale è facile. Tutta l'energia prodotta immessa in rete viene fatturata al Gse con applicazione dell'Iva (aliquota 10%) e rappresenta un ricavo rilevante ai fini delle imposte dirette. Il costo dell'energia consumata sostenuto nei confronti del fornitore territoriale è deducibile e la tariffa incentivante che rappresenta un contributo in conto esercizio, assoggettato alla ritenuta del 4%, è esclusa da Iva ma rilevante ai fini delle imposte dirette.

Professionisti

La gestione fiscale dell'energia autoprodotta da un lavoratore autonomo è per alcuni aspetti simile a quella delle imprese. Tutta l'energia ceduta deve essere fatturata; però trattandosi di attività commerciale e non di lavoro autonomo (non può essere dichiarata nel quadro RE del modello Unico), è necessario tenere la contabilità separata. L'energia consumata è una spesa deducibile nella attività professionale. La circolare n. 46/E/2007 precisa che per i lavoratori autonomi la tariffa incentivante concorre a formare il reddito soltanto per la parte corrispondente alla energia prodotta in eccesso.

 

 

 

ul nucleare golden share al governo. Certificati verdi più difficili per le rinnovabili

di Federico RendinaCronologia articolo02 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 08:04.

Tagli di spesa e maggiori entrate, ma anche "facilitazioni" – promette il governo nel decreto manovra – per la soluzione dei problemi cronici delle nostre infrastrutture, nell'energia ma non solo.

Per aiutare anche qui lo stato a stringere i cordoni della borsa arriverà (comma 6 dell'articolo 15) un canone aggiuntivo sulle concessioni idroelettriche, mentre verranno ridimensionati non poco (articolo 45) i finanziamenti al mercato dei certificati verdi, eliminando l'obbligo di ritiro di quelli eccedenti ora imposto al Gse, il gestore dei servizi energetici.

Ma ecco intanto una doppia spintarella al nuovo nucleare italiano. La Sogin, che si occupa di gestire e smaltire il materiale radioattivo da dismettere, non verrà più smembrata per lasciare spazio a società miste pubblico-privato, come prevedeva la legge "sviluppo" varata la scorsa estate, quella che tracciava appunto il nostro ritorno all'atomo. Il governo (comma 23 dell'articolo 7) ci ripensa. La Sogin torna quella di prima. Verrà semmai rivitalizzata. Il commissariamento in atto viene interrotto e il nuovo Cda di cinque membri sarà nominato entro un mese.

Certo, per sveltire il lento percorso del nostro rinascimento atomico (l'esecutivo non è riuscito neanche a partorire lo statuto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, che la legge "sviluppo" imponeva fosse varato entro il 15 novembre dello scorso anno) ci vuole altro. Ecco allora un provvedimento che cambia profondamente le regole del gioco tra governo e conferenza dei servizi, rafforzando quanto già disposto nella legge "sviluppo".

Mai più snervanti trattative tra governo e altre amministrazioni sulle grandi opere di interesse nazionale (le centrali nucleari ma non solo). Se i confronti e le mediazioni non sortiranno una soluzione in tempi compatibili il governo si riserverà una decisione autonoma e si procederà comunque. Questo il significato dei nuovi aggiustamenti alla legge 241 del '90 previsti con l'articolo 49 del decreto manovra. Che prevede anche una spolverata di tecnologia e di semplificazione amministrativa con il via libera (articolo 51) alle ricariche delle auto a metano nel garage di casa, come preannunciato qualche settimana fa dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli.

La probabile accoglienza in parlamento di tutto ciò? Incerta, come sempre accade quando si modificano gli equilibri dei poteri amministrativi e quando si incide su entrate e spese pubbliche. Tant'è che i rappresentanti delle categorie interessate sono già al lavoro con il loro armamentario di altolà e proteste. Ancora non si fanno sentire i titolari delle concessioni idroelettriche. Prudenza obbligata dal fatto che per ora esiste solo il principio: arriveranno canoni aggiuntivi "finalizzati alla tutela ambientale". Varranno retroattivamente per tutto il 2010, ma devono ancora essere definiti sia nell'entità che nell'allocazione per tipologia e territorio. Si sa solo che saranno proporzionati "alla potenza nominale media degli impianti". Si provvederà - dispone il decreto - con un Dpcm su proposta del ministero dell'Economia di concerto con i ministeri dello Sviluppo e dell'Ambiente oltre che della conferenza unificata. A quel punto le voci si alzeranno.

Immediate invece le proteste per l'abolizione dell'obbligo di ritiro dell'eccesso di certificati verdi da parte del Gse. Il ritiro, introdotto con la finanziaria 2008, ha gettato nel panico gli imprenditori delle rinnovabili e le loro associazioni. Che succederà con l'eliminazione del "paracadute" che consente di produrre le certificazioni senza troppo preoccuparsi se il mercato è in grado di assorbirle? Il settore sarà messo in ginocchio e la stessa strategia italiana per il rispetto degli impegni di Kyoto traballerà, tuonano le associazioni. Che puntano l'indice sull'ennesima manifestazione del Far West normativo che caratterizza la legislazione italiana sull'ambiente e le energie verdi.

Va detto che il provvedimento in realtà non ha direttamente a che fare con la spesa pubblica: il sistema dei certificati verdi si autofinanzia, infatti, con una specifica voce sulla componente "A3" delle bollette.

Qualche incognita anche per il provvedimento, apparentemente meno problematico, che dà il via libera alle ricariche domestiche delle auto a metano. La norma rimuove un divieto assoluto fondato su ragioni fiscali, che riguardano il diverso regime di tassazione del gas a seconda degli usi, e di sicurezza. Le installazioni dovranno rispondere a precisi criteri e dovranno essere effettuate da ditte certificate. Ma proprio in nome della "sempificazione" le pratiche burocratiche non dovranno essere troppo pesanti: è tra l'altro previsto che non sarà necessario il certificato prevenzione incendi. Gli altri abitanti del palazzo "con ricarica" si fideranno?

 

 

Sul nucleare golden share al governo. Certificati verdi più difficili per le rinnovabili

di Federico RendinaCronologia articolo02 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 08:04.

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Articoli

Il pacchetto energia

Dietrofront sulla SoginAll'articolo 7, comma 21, del decreto manvora si interviene sulla Sogin azzerando lo smembramento e la ridefinizione delle funzioni previste nella legge 99/2009 e disponendo la nomina dei nuovi vertici e la ricostituzione del Cda a 5 membri entro 30 giorni dall'entrata in vigore del Dl ...

Economy green conti red

La crisi taglia un pezzetto d'erba sotto i piedi della green economy. In Italia la manovra - articolo 45 - ridimensiona i finanziamenti ai certificati verdi: scompare l'obbligo di ritiro di quelli eccedenti finora imposto al Gestore dei servizi energetici. In Spagna è il rosso delle banche a mettere a rischio gli ecoincentivi: negli anni ...

 

 

l pacchetto energia

Cronologia articolo2 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 09:59.

Dietrofront sulla Sogin

All'articolo 7, comma 21, del decreto manvora si interviene sulla Sogin azzerando lo smembramento e la ridefinizione delle funzioni previste nella legge 99/2009 e disponendo la nomina dei nuovi vertici e la ricostituzione del Cda a 5 membri entro 30 giorni dall'entrata in vigore del Dl

Cresce la tassa sull'idroelettrico

All'articolo 15 si prevede un canone annuale aggiuntivo per i soggetti titolari di concessioni idroelettriche per finanziare iniziative di tutela ambientale.

I canioni aggiuntivi verranno stabiliti con Dpcm su proposta dell'Economia, di concerto con Sviluppo e Ambiente e d'intesa con la Conferenza unificata

Un freno ai certificati verdi

All'articolo 45 si prevede l'abolizione dell'obbligo di ritiro dell'eccesso dei certificati verdi prodotti dalle imprese da parte del Gse (Gestore dei servizi energetici). La norma era stata introdotta con la finanziaria 2008 e attuata con decreto dello Sviluppo del dicembre 2008

Nuove opere: poteri al governo

L'articolo 49 del Dl interviene in materia di conferenza dei servizi, rafforzando i poteri del governo con nuove procedure che limitano le lungaggini procedurali e affidano alla presidenza del Consiglio dei ministri il potere di varare interventi in assenza di accordi con le altre amministrazioni

Auto a gas: ricariche a casa

L'articolo 51 prevede norme semplificate per l'installazione di piccoli impianti domestici di distribuzione e rifornimento del metano auto, i "distributorini" cari al ministro per la semplificazione Roberto Calderoli. Gli impianti potranno essere installati anche nei condomini da ditte certificate, ma senza l'obbligo del nulla osta dei Vigili del fuoco

Combustibili senza "stazione"

Si dispone infine la soppressione della stazione sperimentale per i combustibili. Compiti, personale a tempo indeterminato e attribuzioni sono trasferiti alla Camera di Commercio di Milano

 

 

Economy green conti red

Cronologia articolo2 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 08:54.

La crisi taglia un pezzetto d'erba sotto i piedi della green economy. In Italia la manovra - articolo 45 - ridimensiona i finanziamenti ai certificati verdi: scompare l'obbligo di ritiro di quelli eccedenti finora imposto al Gestore dei servizi energetici. In Spagna è il rosso delle banche a mettere a rischio gli ecoincentivi: negli anni scorsi hanno dato credito per circa 30 miliardi, ora che il boom immobiliare si è sgonfiato anche sole e vento pagano la loro tassa. In sofferenze bancarie e mancato decollo di fonti alternative. La scelta di un'economia eco-compatibile non sfugge dunque ai cicli economici.

E fin qui niente di strano. Quel che non torna è che alla mano invisibile del mercato si aggiunga a volte quella maldestra dell'uomo. Un errore normativo rende infatti inutilizzabili per le imprese gli incentivi in materia di energia idroelettrica. Una legge, scritta in modo poco chiaro, si trasforma così in ammanco per le aziende. Non cedimento strutturale ma errore umano. Perché l'ecosviluppo non si trasformi in un disastro - e la green economy non diventi red economy - non servono incidenti del genere.

 

 

 

 

Sussidi al fotovoltaico giù fino al 40%

di Federico RendinaCronologia articolo21 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2010 alle ore 09:01.

Un taglio del 20% ai sussidi per i piccoli pannelli solari, quelli con una potenza da 1 a 3 kilowatt, che saranno piazzati sui tetti alla scadenza del nuovo "conto energia", e cioè tra tre anni. Meglio andrà agli impianti che entrano in funzione dal prossimo gennaio: l'attuale tariffa incentivata scenderà solo di qualche punto, poi di qualche punto ancora per quelli che entreranno in funzione a metà anno e così via, in progressione.

Ma i proprietari, tipicamente le famiglie o le piccolissime imprese, non potranno lamentarsi troppo. Perché ai veri professionisti della generazione solare (imprenditori, operatori elettrici, grandi industrie che vorranno accedere ai sussidi piazzando impianti più consistenti) andrà peggio. In progressione, che qui, con il crescere della potenza dell'impianto, con una ulteriore penalizzazione se i pannelli sono piazzati a terra e non sui tetti.

Ed ecco che per impianti più grandi e non integrati negli edifici il taglio rispetto all'attuale tariffa incentivata arriverà a fine 2013 - come mostrano le proiezioni elaborate da Assosolare - a poco meno del 40%.

Ecco dunque i veri calcoli del conto energia varato dal Governo dopo il sì della conferenza Stato regioni (si veda Il Sole 24 ore del 10 e del 12 luglio). La potenza incentivabile cresce ulteriormente rispetto alle vecchie edizioni del sussidio: dai 1200 megawatt dell'ultima edizione si arriverà nei prossimi tre anni a 3.000 MW, a cui si aggiungeranno 200 MW per il fotovoltaico a concentrazione e altri 300 MW per impianti integrati con caratteristiche che saranno giudicate "innovative".

Inutile nasconderlo: il taglio è più consistente di quanto ipotizzato dallo stesso governo qualche mese fa, ma gli operatori del settore si ritengono comunque "moderatamente soddisfatti". La tecnologia progredisce, e con essa l'efficienza degli apparati. E una riduzione significativa dell'incentivo era scontata, così come del resto sta avvenendo nei paesi che come noi stanno massicciamente incentivando i pannelli: la Spagna e soprattutto la Germania. Quel che i nostri operatori chiedevano con forza al governo era soprattutto un quadro normativo certo e stabile, che riattivasse la pianificazione degli investimenti.

Il nuovo conto energia, giunto alla terza edizione su base triennale, prevede un primo intervento di riduzione nel 2011 su base quadrimestrale con un'articolazione che privilegia i piccoli impianti rispetto a quelli di maggiori dimensioni e appunto quelli piazzati sui tetti. Seguiranno e due successive riduzioni del 6% a tutti gli incentivi nel 2012 e nel 2013 poi il sistema verrà nuovamente rivisto. "Con il Governo si è comunque arrivati ad una mediazione. Il primo schema di intervento - rimarca Gianni Chianetta, presidente di Assosolare - prevedeva non il 6 ma l'8% di riduzione successiva nel 2012 nel 2013. Possiamo dunque ritenerci complessivamente soddisfatti. Anche perché il rischio era quello di un ulteriore rinvio che avrebbe messo il settore in una posizione davvero difficile".

"Certo, si potevano ad esempio incentivare con più decisione - aggiunge Chianetta - le serre agricole fotovoltaiche". Ma il taglio, seppure marcato, "grazie alla stabilità delle regole che stata assicurata può garantire - assicura Chianetta - una sufficiente redditività agli impianti e agli investimenti".

Resta il fatto che "il legislatore avrebbe potuto essere più coraggioso e offrire all'industria - incalza Gert Gremes, presidente di Gifi-Anie (le industrie degli apparati) - un orizzonte temporale di cinque anni è soprattutto una quantità maggiore di potenza incentivabile per dare più spazio agli investimenti. Questo avrebbe consentito di meglio strutturare e potenziare la nostra filiera industriale fotovoltaica". Comunque "dopo lunghi mesi di attesa possiamo finalmente pianificare gli investimenti del prossimo triennio" anche perché "le regioni hanno espresso la volontà di uniformare i processi autorizzativi".

 

 

 

Ecco (con 7 anni di ritardo) le linee guida per le rinnovabili

di Silvio Rezzonico e Giovanni TucciCronologia articolo19 luglio 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2010 alle ore 09:19.

In dirittura d'arrivo, benché con sette anni di ritardo, le linee guida per la realizzazione degli impianti di fonti rinnovabili che producono energia elettrica. Il documento ministeriale, atteso da tutti gli operatori per dare un quadro di certezze nell'ambito di una normativa regionale contraddittoria e spesso in contrasto con la Costituzione (come hanno dimostrato varie sentenze della Suprema corte), è passato prima al vaglio dell'Antitrust e poi, l'8 luglio, a quello della Conferenza Stato-Regioni.

Poche le modifiche proposte, riguardanti soprattutto i tetti massimi di spese amministrative e le misure di compensazione per l'impatto ambientale a favore degli enti locali. Il passaggio alla Corte dei conti non dovrebbe riservare sorprese, dopodiché si attende la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale: i testi disponibili (che, naturalmente, stabiliscono anche le tipologie degli impianti e le procedure da seguire secondo le varie fonti, indicate nella tabella a fianco) sono quindi solo in bozza.

Ora andrà riscritta la corposissima normativa emanata dalle Regioni, che in vari punti si discosta da quella nazionale, per quanto attiene a limiti troppo rigidi sui siti di localizzazione (soprattutto per l'eolico), al versamento di somme spesso esagerate per chi installa, a vantaggi concessi a imprese locali, ma talora anche a misure di facilitazione (estensione della denuncia di inizio attività, al posto dell'autorizzazione unica, ad impianti troppo potenti).

Uno dei punti principali delle linee guida è quello che riguarda le aree escluse dall'installazione. Il fatto che gli impianti da fonti rinnovabili siano opere indifferibili e urgenti di pubblica utilità fa delle esclusioni l'eccezione e non la regola. Solo le Regioni possono deciderle, purché non traccino regole generiche, per esempio vietando le zone agricole o anche quelle soggette a qualche forma di tutela ambientale o artistica. Occorrono, invece, norme di dettaglio che differenzino gli impianti non permessi in base al tipo di fonte e alla taglia dell'impianto stesso. E i siti non idonei non possono essere "porzioni significative del territorio".

L'esclusione avviene con un'istruttoria in base a criteri di tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale. Tale istruttoria deve essere contenuta nell'atto di programmazione con cui si definiscono le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing (quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnate), in base all' articolo 2, comma 167, della legge 244 del 2007. Tuttavia, al momento, l'atto di programmazione non è ancora obbligatorio. Le Regioni possono infatti attendere l'emanazione del nuovo decreto che fissa la ripartizione tra gli enti territoriali delle quote verdi per raggiungere l'obiettivo del 17% del consumo interno lordo entro il 2020 (previsto dall'articolo 8 bis della legge 13 del 27 febbraio 2009). Dopo l'emanazione, le Regioni avranno 180 giorni di tempo per intervenire, anche attraverso opportune modifiche e integrazioni delle proprie norme.

Le principali aree indiziate di esclusione sono:

- i siti Unesco, i siti nell'elenco ufficiale delle aree naturali protette e quelli in via di istituzione, le zone della Rete Natura 2000, le Iba (Important bird areas), le zone umide di importanza internazionale (convenzione di Ramsar);

- le aree comunque tutelate per legge (fino a 300 metri dalla costa marina o dai laghi, fino a 150 metri dai corsi d'acqua, montagne oltre i 1600 metri, vulcani, zone ad usi civici, foreste e boschi), identificate dall'articolo 142 del Dlgs 42/2004;

- le zone a rischio di dissesto idrogeologico;

- le zone vicine ai parchi archeologici che rivestano un particolare interesse culturale, storico e/o religioso;

- le aree agricole con produzioni alimentari di alta qualità (per esempio Dop, Doc, Docg, Igp, Stg);

  • le zone di attrazione turistica a livello internazionale.

 

 

Via libera al nuovo Conto energia per il fotovoltaico

di Federico RendinaCronologia articolo10 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 10:55.

Si accelera sulle energie rinnovabili tentando di razionalizzare i sussidi e alleggerendone il peso sulle bollette. E intanto si cerca di recuperare i ritardi del piano per il ritorno italiano all'energia nucleare. Con uno sprint energetico di inizio estate la Conferenza Stato-Regioni ha dato il via libera sia alle linee guida predisposte dal ministero dello Sviluppo per dare impulso alle rinnovabili, sia all'atteso (e a lungo controverso) schema del "conto energia" per i sussidi all'elettricità fotovoltaica per il triennio 2011-2013.

La versione definitiva del nuovo conto energia modifica ulteriormente lo schema, che sembrava definitivo, già messo a punto dal Governo. In nome del progresso tecnologico e di efficienza dei pannelli solari, i nuovi sussidi ventennali subiranno nel prossimo triennio un taglio attorno al 20%: scenderanno tra il 2 e il 3% ogni quadrimestre nel 2011 e del 6% l'anno nel 2012 e nel 2013, in attesa della ulteriore revisione che scatterà dal 2014.

Confermato il principio che premia con incentivi proporzionalmente maggiori i piccoli impianti (come quelli domestici) e quelli installati sui tetti e sulle coperture. In ogni caso il decreto (22 pagine e 6 allegati) accompagna il taglio con nuovi e più ambiziosi obiettivi: 8 mila megawatt di energia solare da traguardare al 2020 di cui 3mila nel prossimo triennio, dopo i 1.200 megawatt incentivati (e già raggiunti) con il sussidio in scadenza.

Grande attenzione all'evoluzione tecnologica. Tant'è che il nuovo conto energia riguarderà anche il solare fotovoltaico a concentrazione, a cui saranno riservati sussidi per una potenza complessiva di 200 megawatt.

Il decreto "fornisce le certezze richieste dagli operatori del settore e opportunità di investimenti e creazione di occupazione" rimarca in una nota il ministero dello Sviluppo. Che si guadagna il sì delle principali associazioni di categoria, che apprezzano anche le "linee guida" sulle rinnovabili tracciate dal Governo.

Nelle nuove linee guida si promette tra l'altro di introdurre procedure autorizzative semplificate per gli impianti, orientando il mercato verso le tecnologie migliori e agevolandone la connessione in rete, "favorendo l'innovazione in un settore fondamentale per la ripresa e la competitività del Paese" commenta Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo.

Intanto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, nell'edizione di giovedì scorso, il decreto delegato con lo statuto della nuova Agenzia per la sicurezza nucleare.

 

 

Malgrado gli otto mesi di ritardo rispetto alla scadenza fissata dalla legge "sviluppo" dell'agosto scorso (la 99/2009) lo Statuto rinvia a una lunga serie di ulteriori provvedimenti tutti gli adempimenti (nomine dei vertici, regolamenti interni, organi esecutivi, impalcatura operativa) necessari per rendere davvero funzionante l'organismo cruciale per il nostro rinascimento nucleare. Che rischia di rimanere, almeno per qualche mese ancora, in stand by.

Spetterà infatti all'agenzia definire le regole per scegliere i territori e le metodologie con cui piazzare le nuove centrali atomiche italiane. A lei il compito non solo di autorizzare gli impianti e di vigilare sulla correttezza delle procedure di costruzione e di esercizio, ma anche di definire le metodologie e i criteri di sorveglianza delle delicate attività collaterali, come l'approvvigionamento, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

 

 

 

 

 

Saglia lancia un appello alle Regioni: "Sblocchiamo lo sviluppo delle rinnovabili"

di Luca SalvioliCronologia articolo18 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 19:42.

L'Italia ha presentato il Piano di azione nazionale per raggiungere i target europei sulla produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Il fatidico 17% (sui consumi finali), che si confronta con il 4,9% del 2005, verrà raggiunto con quote verdi dei diversi consumi energetici: 28,97% per l'elettricità, 15,83% per il termico e 6,38% per i trasporti. Solo che "mancano strumenti decisivi" per metterlo in pratica. Ad esempio, il nuovo Conto energia per il fotovoltaico. Oppure le linee guida nazionali, attese dal 2003.

La conferenza unificata (stato, regioni, enti locali) si sarebbe dovuta riunire lo scorso febbraio, poi è slittata a primavera inoltrata. Si attendeva il risultato delle elezioni regionali. E' arrivata l'estate e la riunione ancora non c'è stata. Un tavolo tecnico è previsto per martedì 22 giugno, ma non sarà risolutivo. "Le Regioni stanno litigando con il governo sulla manovra", spiega Stefano Saglia, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico con delega all'energia, "dunque è tutto fermo. Lancio un appello: apriamo una finestra dedicata, separiamo i due fronti". Intanto le imprese del settore e Confidustria hanno espresso tutto il disappunto verso l'articolo 45 della manovra, che azzoppa le rinnovabili.

Verrà modificata la norma?

Avevo scritto in tempi non sospetti al presidente del Consiglio e al ministro dell'Economia per dire che si trattava di una misura sbagliata. Le imprese hanno bisogno di regole stabili. Sto suggerendo una serie di emendamenti che verranno discussi nella commissione bilancio del Senato dalla prossima settimana.

Come faremo a raggiungere il 17% dei consumi finali con fonti rinnovabili entro il 2020?

Innanzitutto va detto che non raggiungeremo gli obiettivi senza la collaborazione delle Regioni. Il Piano - a cui ha lavorato intensamente Sara Romano, direttore generale del dipartimento energia nuleare, fonti rinnovabili ed efficienza energetica del ministero - prevede una maggiore responsabilizzazione. Indicheremo in maniera precisa le quote per ogni Regione. Come ha detto anche l'Ocse il nostro paese ha incentivi in alcuni casi generosi, il problema è la lunghezza dell'iter autorizzativo. Le linee guida sono attese dal 2003. Ora c'è un testo che mette d'accordo i ministeri competenti. Prevede l'autorizzazione unica e 180 giorni per il via all'impianto. Siamo in attesa della Conferenza unificata. Sul piano delle tecnologie, invece?

C'è un investimento da 200 milioni di euro sulle reti elettriche di nuova generazione, le smart grid. Stiamo lavorando con il Gse per valorizzare i marchi italiani delle rinnovabili. La filiera industriale italiana sta nascendo, in particolare nel campo delle biomasse. C'è un grande spazio di crescita con opportunità di reddito per gli agricoltori. Puntiamo molto anche sull'eolico, in questo caso è decisivo il lavoro sulle reti. Poi il solare. Il fotovoltaico ha ancora grandi opportunità. Purtroppo utilizza quasi esclusivamente tecnologia estera. Il nuovo Conto energia incentiverà anche il solare termodinamico. Verranno poi estesi i certificati bianchi per le rinnovabili termiche: solare termico, caldaie a biomassa, pompe di calore e geotermia.

Il Piano prevede un ruolo importante delle importazioni di energia pulita dall'estero, a quanto ammonta?

Il 5% della quota di rinnovabili al 2020 verrà da altri paesi. In particolare stiamo lavorando a due cavi sottomarini: uno dalla Tunisia e uno dai Balcani. Siamo un paese con una geografia limitata e con un'elevata densità di popolazione, da soli non possiamo farcela.

Così invece raggiungeremo il target europeo?

Bisogna ammettere che l'asticella è molto alta. Dobbiamo essere molto concentrati e provarci.

luca.salvioli@ilsole24ore.com

 

Piano di Azione Nazionale

Sintesi del Piano di azione nazionale per le Energie Rinnovabili

 

 

Risparmio

* Istruzioni "salva-bolletta" per ridurre i consumi energetici

* La tecnologia italiana produce il caldo (e il freddo) a costo zero per gli edifici

* Come risparmiare energia in dieci mosse

* Gli italiani preferiscono la bolletta "ecologica"

* Enertec, la soluzione per gestire le rinnovabili

 

 

Istruzioni "salva-bolletta" per ridurre i consumi energetici

di Manuela SoressiCronologia articolo12 aprile 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2010 alle ore 11:13.

L'ultima modifica è del 17 giugno 2010 alle ore 19:33.

Il risparmio e il rispetto per l'ambiente nascono anche da un uso più intelligente e informato dei piccoli e grandi elettrodomestici che ci aiutano nella vita di ogni giorno: bastano pochi accorgimenti e alcune scelte mirate per contenere i consumi di energia e ridurre in modo significativo, e senza grossi sacrifici, sia la bolletta sia l'impatto ambientale. Ad esempio, a chi giova lasciare in stand-by la tv, il computer o l'hi-fi quando non li si usa oppure non togliere dalla presa il caricabatteria del cellulare quando il telefonino non è in carica? Oltretutto, secondo Enel, aumenta inutilmente del 10% il consumo di energia. Anche spegnere lo scaldabagno elettrico quando non serve e concentrare l'accensione in un periodo di 8 ore, magari quelle notturne, consente di mantenere il piacere di svegliarsi con l'acqua calda ma fa anche risparmiare 3.559 kWh in un anno. Altro suggerimento: avviare la lavastoviglie solo a pieno carico fa risparmiare fino a un quarto dell'energia pari a oltre 20 euro all'anno. E ancora: si può usare la lavastoviglie praticamente gratis per circa tre mesi e recuperare la quantità di acqua che serve per 43 docce o 19 bagni in vasca semplicemente usando i programmi di lavaggio a basse temperature (50-55°C).

Internet è una miniera di consigli su come coniugare comodità, efficienza e risparmio energetico: li propongono associazioni ambientaliste, organizzazioni di consumatori, gestori elettrici ed enti locali, ma anche fabbricanti di elettrodomestici o di detergenti, spesso coinvolti in progetti di educazione al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni di CO2, come "Save Energy and Water" oppure "Cleanright". Ci sono anche i consumatori che dalla teoria sono passati alla pratica, come le 2.500 famiglie che hanno aderito al progetto "Risparmia l'energia" promosso da Coop Italia, Wwf, Greenpeace e Legambiente: da oltre un anno seguendo i consigli suggeriti dagli esperti e si scambiano esperienze e consigli attraverso una community online. Decine sono del resto i forum dove gli internauti condividono trucchi e segreti su come adoperare gli elettrodomestici coniugando risparmio ed efficacia.

Insomma, se negli Usa tra gli articoli più letti del New York Times in marzo c'è stato un servizio su come risparmiare sul sapone per la lavatrice, in Italia non è da meno il "dibattito" su come utilizzare al meglio gli elettrodomestici, soprattutto quelli più energivori. Anche perché – lo rivela un sondaggio realizzato dall'ufficio studi Aires – sebbene 93 italiane su 100 si sentano tranquille nell'usare la tecnologia solo 33 si dichiarano soddisfatte: la maggioranza è critica verso apparecchi troppo complicati o non pensati specificamente per le esigenze di chi lavora. L'esigenza diffusa è quella di avere elettrodomestici più semplici e intuitivi. "In effetti sembra proprio che gli italiani si facciano sempre più domande sull'uso intelligente degli elettrodomestici – conferma Gaetano Fasano, responsabile del servizio efficienza energetica all'Enea – ma i dubbi che ci sottopongono nascono più da una carenza informativa e dall'esigenza di un consumo più consapevole che non da una coscienza ecologista o dalla ricerca di una maggiore efficienza energetica". Dunque, non spinte idealistiche o grandi filosofie, ma l'esigenza spicciola di scoprire come utilizzare correttamente lavatrice e lavastoviglie o cosa fare se il frigorifero o l'asciugatrice non funzionano come dovrebbero. "Spesso gli italiani non sanno dove trovare le risposte: di solito si affidano ai rivenditori, che non sono sempre ben informati, oppure si rivolgono al nostro servizio", aggiunge Fasano. E sempre più spesso cercano aiuto sul web, nelle community oppure consultando i siti dei fabbricanti di elettrodomestici o dei produttori di detergenti, che in molti casi offrono consigli concreti (come accade sui siti di Henkel e Dash), permettono di scaricare degli opuscoli dettagliati (come succede sul sito di Pril) o di seguire dei videoconsigli, come propone Nuncas. Anche molti enti locali (come i comuni di Bologna e di Novara) dispensano consigli sugli elettrodomestici mentre alcuni gestori elettrici e associazioni ambientaliste (come Eni e Legambiente) hanno creato siti specifici dedicati al risparmio energetico e all'uso intelligente degli elettrodomestici.

Ma le informazioni che si raccolgono su internet vanno comunque confrontate e intrecciate, perché sui temi della riduzione dell'impatto ambientale e dei consumi "non ci sono ancora culture e pratiche codificate – avverte Fasano –. Quello che è certo l'Enea lo ha raccolto negli opuscoli scaricabili dal sito internet che forniscono consigli e suggerimenti sulla scelta e l'uso dei principali elettrodomestici in un'ottica di risparmio energetico".

 

 

La tecnologia italiana produce il caldo (e il freddo) a costo zero per gli edifici

di Luca SalvioliCronologia articolo9 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 19:39.

L'energia termica è un bene prezioso. Per produrre calore (o fresco, in estate) i 160 milioni di edifici dell'Unione europea incidono per oltre il 40% sul consumo finale di energia. Producendo circa il 40% delle emissioni di CO2. "Il punto è che di calore ne viene buttato via in abbondanza nella produzione di energia elettrica" spiega Tarcisio Ghelfi, inventore di una tecnologia che permette di utilizzare l'acqua calda di scarto delle centrali elettriche - potenzialmente anche nucleari - per riscaldare o raffrescare gli ambienti alimentando una pompa di calore.

Il sistema funziona con acqua a bassa temperatura (60 gradi centrigradi) e in prospettiva permette l'integrazione di tutte le tecnologie disponibili: cogenerazione, solare termico e fotovoltaico, geotermia, eolico, celle a combustibile, caldaie integrative e altro.

L'idea verrà commercializzata da Eubios, start up nata a Milano a ottobre 2008 con un piano industriale realizzato da Accenture e guidata dal presidente Mario Beltrame e l'amministratore delegato Sergio Leali. Le soluzioni saranno due. Per gli edifici - residenziali e non - che si trovano vicino alle aree industriali verrà utilizzata l'acqua calda di scarto degli impianti. Quando invece questo non è possibile verrà realizzata una piccola centrale di generazione di energia elettrica. "La corrente prodotta verrà utilizzata per il fabbisogno delle parti comuni dei condomini, quella in eccesso sarà invece venduta al Gse sfruttando gli incentivi del contratto di scambio" continua Ghelfi, responsabile del marketing strategico per l'azienda. Per azionare la pompa di calore, dunque, "non occorre energia elettrica, ma acqua calda".

Possiamo ridurre "del 40% le emissioni del territorio - continua l'ingegnere - con un costo che viene ripagato in cinque anni, visto che non si paga la fonte primaria. Nel caso di nuove costruzioni, invece, il costo è zero da subito, visto che il nuovo impianto costa meno delle caldaie tradizionali".

Eubios, che presenterà l'innovazione giovedì 10 giugno al museo della Scienza e della tecnica di Milano, ha già avviato una serie di progetti, tra cui l'integrazione della pompa di calore in 180 appartamenti a Crema, con la Fondazione Cariplo. Altri progetti riguarderanno raffinerie, data center e housing sociale.

 

 

 

Come risparmiare energia in dieci mosse

Cronologia articolo20 marzo 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2010 alle ore 09:36.

Ecco dieci consigli* per risparmiare energia tra le mura di casa:

1. spegnere le luci quando non servono;

2. spegnere e non lasciare in stand by gli apparecchi elettronici;

3. sbrinare frequentemente il frigorifero; tenere la serpentina pulita e distanziata dal muro in modo che possa circolare l'aria;

4. mettere il coperchio sulle pentole quando si bolle l'acqua ed evitare sempre che la fiamma sia più ampia del fondo della pentola;

5. se si ha troppo caldo abbassare i termosifoni invece di aprire le finestre;

6. ridurre gli spifferi degli infissi riempiendoli di materiale che non lascia passare aria;

7. utilizzare le tende per creare intercapedini davanti ai vetri, gli infissi, le porte esterne;

8. non lasciare tende chiuse davanti ai termosifoni;

9. inserire apposite pellicole isolanti e riflettenti tra i muri esterni e i termosifoni;

10. utilizzare l'automobile il meno possibile e se necessario condividerla con chi fa lo stesso tragitto.

* Il decalogo è stato realizzato da "M'illumino di meno", l'iniziativa lanciata dalla trasmissione di Radio2 Caterpillar per limitare i consumi energetici.

 

 

 

Gli italiani preferiscono la bolletta "ecologica"

di Jacopo GilibertoCronologia articolo29 settembre 2009

Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2009 alle ore 09:31.

L'ultima modifica è del 17 giugno 2010 alle ore 18:32.

Il governo non vuole un braccio-di-ferro atomico con le regioni antinucleari, come la Toscana, la Calabria, la Liguria e il Piemonte che la settimana passata avevano annunciato ricorsi contro la legge atomica. "Ora sono diventate sei le regioni che hanno fatto ricorso. Intendiamo dialogare con le Regioni, non faremo mai una centrale senza il parere delle Regioni", affermava ieri mattina il sottosegretario dello Sviluppo energetico Stefano Saglia, che ha la delega sull'energia. I consumatori non amano troppo questa tecnologia, e sono anzi disposti a spendere fino al 20% in più se viene garantito loro che la corrente che arriva in casa viene solamente dalle più "flessibili" fonti rinnovabili, come consente la nuova bolletta trasparente dettata dall'Autorità dell'energia.

E per abbassare i prezzi della corrente è necessario riuscire a realizzare le linee di alta tensione per collegare le centrali al mercato: ci sono impianti eolici che mulinano aria senza riuscire a immettere in rete i loro chilowattora puliti, e perfino molte centrali termoelettriche lavorano a mezza potenza (e a mezzo fatturato) perché la rete non riesce a reggere. Per questo motivo Terna insiste sull'importanza dell'autorizzazione unica per sbloccare le domande di allacciamento in giacenza: sono pari a centrali per circa 97mila megawatt.

Sono alcuni dei temi toccati ieri durante la nona edizione dell'Energy Summit del Sole 24 Ore (organizzato in collaborazione con Ibc; ai lavori partecipa anche, in qualità di patrocinante, il Gestore del mercato elettrico, la Borsa Italiana dell'energia). I lavori del summit continuano oggi e domani.

Secondo l'indagine dell'Osservatorio energia condotto dalla Bip insieme con la Nielsen, circa due terzi delle famiglie sa che può cambiare il fornitore di energia in tutta libertà (il 63% per il gas e il 68% per l'elettricità). Gli italiani sono poco soddisfatti dei loro fornitori (quali la metà per le tariffe, un terzo è scontento per la bassa attenzione ambientale del fornitore) ma molto pochi di loro hanno davvero cambiato azienda (circa l'8% ha cambiato azienda elettrica e il 6% quella del gas) e circa il 64% (quasi 15 milioni di famiglie) non ha ancora interesse a cambiare fornitore.

Un incentivo verrà dalle tariffe trasparenti che i consumatori cominciano a ricevere. Questa bolletta, che riporta le fonti energetiche utilizzate, potrà consentire alle aziende le politiche commerciali meglio mirate, ma anche ai consumatori una scelta accurata dei fornitori. Se il 90% vede nelle tariffe più contenute il motivo più valido per cambiare, al secondo posto con il 35% vengono le famiglie pronte a passare a una nuova azienda elettrica se c'è la certezza che vengono prodotti chilowattora ecologici, e ciò anche se si dovesse pagare una bolletta un po' più salata. Sul fronte degli investimenti, spaventa l'incertezza continua delle norme, che cambiano di continuo. Terna ha già presentato domande di autorizzazione di nuove linee di alta tensione per un valore di circa 2 miliardi di euro, ma senza autorizzazione unica i progetti si fermano negli assessorati. Le strozzature fanno salire i costi del chilowattora e gli italiani pagano.

 

 

 

Enertec, la soluzione per gestire le rinnovabili

di Luca SalvioliCronologia articolo12 ottobre 2009

Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2009 alle ore 19:35.

L'ultima modifica è del 17 giugno 2010 alle ore 18:31.

A cosa serve costruire un edificio avvolto di tecnologie per produrre energia da fonti rinnovabili senza che il loro contributo sia opportunamente gestito? A poco. La parola chiave è efficienza. Diversa da "risparmio", forse più importante. Significa calibrare il peso dei diversi impianti in modo che vengano utilizzati in maniera combinata quando conviene. L'utilizzo della tecnologia all'interno degli edifici sta cambiando completamente la sua funzione. Fino a qualche anno fa più se ne metteva e più si consumava. Ora la maggior parte dello sviluppo digitale si muove nella direzione opposta. Certo, un conto sono i casi "scuola", i grandi progetti, la ricerca. Un altro i palazzi in cui viviamo, andiamo a lavorare, a fare la spesa. Più efficienti di un tempo (in particolare la grande distribuzione, che conta diversi esempi), ma lontani da quella rivoluzione potenziale che potrebbe rendere gli edifici non più meri consumatori, ma produttori essi stessi di energia.

Il progetto Enertec si propone di "gestire e ottimizzare i flussi di energia e quelli economici che arrivano dalle rinnovabili" spiega Paolo Magri, responsabile del progetto per la Fondazione Politecnico di Milano. La soluzione nasce da una collaborazione tra università e imprese che annovera la Fondazione Politecnico di Milano, il Politecnico di Milano, il Dipartimento di elettronica e informazione, Sdi automazione industriale, Beta80, Misarc, Solarday e il contributo di Ibm Italia e Soco. Enertec è studiato per un edificio (non domestico, è dedicato alle aziende) che integra diverse fonti rinnovabili. Ogni piccolo impianto viene monitorato da un sensore, che ogni quindici minuti trasmette i dati a un concentratore. Questo riceve le informazioni, le aggrega e una volta al giorno comunica il tutto al centro dati. Questo può essere dislocato anche lontano dall'edificio ed è il cuore della gestione intelligente. Monitora il funzionamento, la produzione e i costi e gestisce i flussi energetici secondo questi criteri.

Il prototipo è stato sperimentato al Polo sanitario di Agrate, la sede di Misarc e l'agriturismo Vojon, a Ponti sul Mincio. Ancora non è chiaro se le aziende venderanno sul mercato una soluzione unica, creando una società ad hoc, o se ognuno farà la sua offerta. Certo è che "una volta ricevuta una commessa, nel giro di pochi mesi avremo una soluzione industriale", assicura Magri. Nel convegno di presentazione è emerso come l'efficienza nell'edilizia dipenda ancora molto dalla "cultura del risparmio", ancora scarsa su diversi livelli.

luca.salvioli@ilsole24ore.com

 

 

Sostenibilità

* La banca ecologica risparmia il 40% di energia

La banca ecologica di Mps risparmia il 40% di energia

Cronologia articolo17 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 18:44.

La filiale diventa ecologica. Banca Monte dei Paschi ha iniziato a progettare le sue filiali puntando sulla riduzione dei consumi energetici e cercando ridurre l'impatto ambientale. Paschi Gestioni Immobiliari, la società che gestisce il patrimonio immobiliare del gruppo, ha iniziato da qualche anno un'attività di ricerca, sperimentazione e realizzazione al di là dei limiti minimi di carattere normativo. Un lavoro che ha permesso alla società di vincere il primo premio della sezione speciale Wood@Work del concorso internazionale US Award 2009 promosso dal Sole 24 Ore Business Media.

La prima filiale ecologica nasce dal piano di recupero dell'ex complesso rurale "La Vigna", a Castelnuovo Berardenga (Siena). Un fienile, realizzato all'inizio del secolo scorso e da anni in stato di abbandono, è stato recuperato con un'attenzione particolare sia all'immobile sia alle problematiche ambientali e del risparmio energetico con l'introduzione di nuovi elementi architettonici e impiantistici. Le opere di consolidamento hanno fatto in modo di conservare gli elementi storici di bioarchitettura già presenti quale, ad esempio, la calce idraulica strutturale in sostituzione del cemento.

Principio tradotto anche nella schermatura di ippocastani posizionati parallelamente al prospetto rivolto a sud, nella realizzazione di finestrature con elementi in cotto disposti a formare una schermatura frangisole e nella mancanza di alberature lungo la facciata nord adeguatamente riparata dai venti freddi da un muro di cinta opportunamente sagomato.

Massima limitazione delle dispersioni termiche e uso di tecnologie ad alto rendimento come la pompa di calore geotermica capace di garantire un risparmio energetico di circa il 30%. Stessa idea per l'illuminazione, sintesi di un perfetto equilibrio fra l'apporto di luce artificiale e naturale, introdotta negli ambienti grazie ai cosiddetti camini captatori di luce solare.

Il risparmio totale, in termini di consumi energetici rispetto a una filiale tradizionale, è di circa il 40% annuo. Tutto questo evita un'immissione in atmosfera, sempre in un anno, di circa 7mila Kg di anidride carbonica.

I maggiori costi di realizzazione, assicurano il responsabile di Paschi Gestione Immobili e il responsabile della realizzazione della prima filiale ecologica, Marco Baldi e Franco Biondi verranno ammortizzati in 4/5 anni. Un tempo che consente al Gruppo BMps di cominciare a pensare anche ad una filiale ecologica più grande di quella di Castelnuovo Berardenga, probabilmente a Milano.

 

 

Frontiere

* Hyst trasforma la paglia in energia e farina

* L'energia dallo spazio? "In 10 anni può diventare realtà"

* Il "mostro" di Loch Ness produce energia con le onde

* Scommessa sulla Cina "green"

* Ma troppi documenti rallentano il business

 

Hyst trasforma la paglia in energia e farina

di Camilla GhediniCronologia articolo1 giugno 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2010 alle ore 09:13.

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COMACCHIO - Si chiama Hyst, è stato inventato e perfezionato negli ultimi 40 anni dall'ingegner Umberto Manola, sperimentato in Italia da una decina di aziende agricole e ufficialmente lanciato nel mercato internazionale ieri, a San Giuseppe di Comacchio, nelle valli ferraresi, dove si trova il prototipo. Sintetizzando, si potrebbe affermare che il sistema Hyst trasforma la paglia in energia o farina, a seconda delle necessità, dando così risposta sia al problema globale della produzione energetica che alla fame nel mondo.

Attraverso il trattamento delle biomasse agricole (paglia, legno, scarti vegetali) e dell'industria alimentare (cruscame, vinacce) la tecnologia Hyst (Hypercritical separation technology) è in grado di ricavare componenti per la zootecnica e l'alimentazione umana, oltre che basi per la produzione di bioetanolo. Il tutto con costi e consumi energetici ridotti, senza alcun impatto ambientale e, soprattutto, con l'uso di una sola macchina capace di separare le componenti della materia prima immessa facendo scontrare tra di loro, ad alta velocità, le particelle di biomassa trasportata da getti d'aria contrapposti. Ogni ora possono essere lavorate fino a due tonnellate di materia, che da tre diversi bocchettoni – ma possono arrivare fino a 7 – esce sotto forma di prodotto finito per il confezionamento e la vendita.

Circa mezz'ora dura un ciclo, ma la macchina può lavorare 4 come 24 ore al giorno, non ci sono limiti. Gli impianti saranno a breve commercializzati sul mercato internazionale dalla BioHyst, che punta sul doppio canale "energie alternativa" in Europa e "alimentazione" nei Paesi dell'Africa. A Comacchio è avvenuta la dimostrazione tecnica e l'annuncio, da parte di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile), di un inizio di collaborazione con la BioHyst, a partire dal bioetanolo.

Tecnologia e ricerca procederanno dunque insieme in nome della salvaguardia dell'ambiente e della solidarietà. Va in effetti ricordato che l'ideatore Manola, ingegnere biologico con una lunga esperienza nell'industria molitoria svizzera e tedesca, fin dal 1984 è stato sostenuto nelle sue ricerche dall'associazione filantropica Scienza per l'Amore, oltre che dall'Isan (Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione), dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Obiettivo di BioHyst è divulgare il sistema ovunque: a partire dall'Italia, che per l'approvvigionamento dei combustibili fossili dipende totalmente dall'estero e che produce 40milioni di tonnellate di biomasse all'anno per un potenziale di mille impianti, un centinaio dei quali – secondo le previsioni di BioHyst – potrebbero sorgere entro il 2012. "Nei Paesi industrializzati installeremo impianti di nostra proprietà e ci faremo corrispondere anticipi e royalties – spiega Daniele Lattanzi, responsabile business development BioHyst - . Le stesse royalties le utilizzeremo per realizzare impianti nei Paesi in via di sviluppo, con l'impegno dei governi a farne beneficiare la popolazione". Su questo fronte, è imminente la sottoscrizione di un accordo col Senegal, una cui delegazione presieduta dal consigliere economico dell'Ambasciata del Senegal in Italia, Christian Assogba, ha fatto recentemente visita all'azienda comacchiese che ha ormai collaudato la tecnologia Hyst. Una formula, quella del comodato d'uso e delle royalties, indispensabile per coprire i costi dei macchinari: 2 o 3 milioni di euro, a seconda della materia trattata, che di norma vengono ammortizzati nel giro di un anno. "Per l'Europa – sintetizza Lattanzi - , il vantaggio sarà l'arricchimento di materie prime; per l'Africa, il sostegno alimentare". A conquistare Enea è stata la flessibilità del sistema e la possibilità di applicazione nel campo dei biocombustibili "Questa tecnologia è nata per essere applicata all'industria molitoria e per la valorizzazione delle risultanze destinate all'alimentazione umana e zootecnica.

D'altra parte – ha motivato Vito Pignatelli, responsabile Gruppo Sistemi Vegetali per Prodotti Industriali di Enea - , componenti come la cellulosa e la lignina, non utili a fini alimentari, sono interessanti per la possibilità di utilizzo a fini energetici, per la produzione dei cosiddetti bioetanoli di seconda generazione". Ma Pignatelli si è spinto oltre: "Si potrebbe pensare di usare questi macchinari per la separazione degli elementi radioattivi dalle scorie prodotte dall'industria nucleare". A beneficiare della tecnologia Hyst saranno anche l'industria cartaria e la chimica, dove si attendono innovazioni. La conclusione è di un Manola soddisfatto per il sostegno di Enea, che non manca di rimarcare come sul fronte della sperimentazione e della ricerca l'Italia "è sempre un passo indietro rispetto al resto d'Europa" e che nello specifico del "suo" Hyst sintetizza: "Con questo sistema, che non è standard, ma va personalizzato e per questo non crea urti sul mercato, accontentiamo l'animale, l'uomo e l'uomo in automobile".

Info, www.biohyst.it

 

 

 

L'energia dallo spazio? "In 10 anni può diventare realtà"

di Marco MagriniCronologia articolo27 maggio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2010 alle ore 10:08.

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Un giorno d'estate di tre anni fa, un fascio di microonde ha attraversato il mare che separa Hawaii da Maui, facendo esattamente il proprio dovere: trasportare 20 watt di energia a 148 chilometri di distanza, da un'isola all'altra. "Entro breve faremo un altro test, più potente e su maggiori distanze", racconta John Mankins, lo scienziato americano che ha organizzato l'esperimento.

Se a qualcuno sembrasse poca cosa, aspetti di scoprire cos'ha veramente in testa Mankins, che oggi fa il consulente in proprio, ma dopo aver trascorso 25 anni fra il Jet Propulsion Laboratory e la Nasa, dove ha ricoperto per un decennio l'incarico di direttore del dipartimento Studi avanzati. In poche parole, il suo compito era quello di congiungere la scienza con la fantascienza.

"Quand'ero piccolo – racconta – assistevo a bocca aperta ai lanci del Mercury, alle missioni Apollo, e mi chiedevo come sarebbe stato il futuro". Fin quando, quasi fosse un'attrazione fatale, il futuro s'è messo a fabbricarlo di persona.

Lo scopo di quell'esperimento alle Hawaii, condotto insieme al collega Nobuyuki Kaya dell'Università di Kobe, era trovare il modo di trasmettere non 200, ma mille miliardi di watt. E non fra due isole a qualche chilometro di distanza, ma fra la Terra e un satellite in orbita geostazionaria, 35mila chilometri sopra le nostre teste.

 

"Una crisi energetica – commenta Mankins, incontrato a Rovereto dov'è venuto a partecipare al Festival delle Città Impresa – è alle porte: fra la crescita della domanda da parte delle economie emergenti, il picco del petrolio e i cambiamenti climatici, questo pianeta deve rivedere in fretta il proprio sistema di approvvigionamento dell'energia". L'idea dello space solar power è piuttosto antica: l'ingegnere spaziale Peter Glaser la teorizzò nel 1968. Però Mankins l'ha fatta rivivere nel 1999, con un progetto ufficialmente finanziato dalla Nasa.

Ma questa è scienza, non fantascienza. "Tutti i fondamenti fisici per realizzarla sono conosciuti", assicura John Mankins, che qualche anno fa, quando la Nasa ha tagliato i fondi alla ricerca avanzata, ha detto addio all'agenzia spaziale americana. "Tutti i componenti necessari già esistono e non c'è bisogno di fare altre scoperte rivoluzionarie. Occorre soltanto perfezionare i dettagli, condurre i necessari esperimenti e costruire l'intero sistema". I sistemi complessi, del resto, sono il piatto forte di Mankins. "Il mio mestiere – ammette lui stesso – è scoprire nuove applicazioni di cose già esistenti". Il che, è facile solo a dirsi. Fra le invenzioni di Mankins, che alla Nasa è stato anche a lungo capo della tecnologia per l'esplorazione spaziale, c'è il MagLifter (una catapulta a levitazione magnetica per lanciare in orbita gli shuttle del futuro), il Solar Clipper (una navicella modulare alimentata a "vele" solari) o l'HabBot (un'unità abitativa e di lavoro per le colonie umane su altri pianeti).

Ma il satellite per l'energia solare a 35mila chilometri comporta problemi su un'altra scala di grandezza. "Si tratta di un satellite dove il corpo principale è largo circa un chilometro, ma spesso una ventina di centimetri, dove da un lato ci sono le celle solari per catturare l'energia solare 24 ore su 24 e, sull'altro, le antenne per la trasmissione". Si tratta di microonde, nell'intorno dei 2 gigahertz di frequenza, che attraversano comodamente l'atmosfera anche in un giorno di pioggia e raggiungono un sistema ricevente a terra – una specie di griglia con un diametro di un chilometro – per poi venire convertite in corrente continua. "Ovviamente abbiamo trovato il modo di modulare questo raggio senza che sia nocivo per piante o animali. Anzi, ci sarà da risolvere il problema degli uccelli che sperano di farci un nido, al caldo", ride lo scienziato.

In questo modo, si potrebbe fornire un gigawatt di energia senza le interruzioni che affliggono gli impianti solari a terra. "Il raggio potrà essere spostato a piacere, e diretto sulle stazioni riceventi che ne hanno bisogno. Se collocato in orbita sopra l'Oceano Indiano, può trasmettere energia in Giappone e, nell'arco di millisecondi, spostarsi sull'Italia". Scusi, ma quanti satelliti solari ci potranno essere, a regime? "Centinaia. Direi fino a un massimo di 2mila". E lei conta di vederne uno in orbita, nell'arco della sua vita? "Assolutamente sì", è la risposta altrettanto secca. "Peter Mankins, un mio antenato, è vissuto 111 anni fra il '700 e l'800. E io ne ho solo 54...", dice.

 

Mankins giura che, "appena ci saranno i soldi e la volontà", il primo prototipo potrebbe essere messo in orbita nel giro di dieci anni. Certo, c'è ancora un sacco di lavoro da fare. Ad esempio, bisogna costruire un SolarClipper e un MagLifter per abbassare il costo dei molteplici lanci per portare in orbita pezzi di satellite da rimontare.

"Penso a una grande collaborazione internazionale, che includa aziende private e governi. Un po' come l'Airbus A380 o il Boeing 787: progetti giganteschi che sarebbero impossibili senza l'aiuto di imprese, Stati e università di mezzo mondo". E questa è politica, non fantapolitica.

 

Nel frattempo, la Nasa ha cambiato di nuovo strategia ed è tornata a investire sulla ricerca avanzata. Ma Mankins va avanti per la sua strada. "Come scienziato – dice – il mio sogno è riuscire a fare la differenza". Se un giorno una catapulta magnetica lancerà una navicella a vele solari per costruire una fabbrica spaziale di energia da trasmettere wireless sulla Terra, la differenza sarà fatta.

 

 

 

Il "mostro" di Loch Ness produce energia con le onde

Cronologia articolo23 maggio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2010 alle ore 11:04.

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Un nuovo impianto per lo sfruttamento dell'energia delle onde oceaniche è entrato nella fase di sperimentazione nel lago più famoso del Regno Unito: quello scozzese di Loch Ness.

L'impianto, costruito dalla società scozzese Aws Ocean Energy, è un modello su scala ridotta dell'Aws-III, una struttura galleggiante a forma di anello che a grandezza naturale avrà un diametro di 60 metri e una capacità compresa fra 2,5 e 4 MW.

Poche settimane fa il primo ministro scozzese ha annunciato l'intenzione di rendere il paese l'"Arabia Saudita dell'energia marina". Il nuovo modello è in grado di mantenere al riparo dal contatto con l'acqua le componenti meccaniche mobili, grazie a un sistema di diaframmi flessibili disposti intorno a uno scafo di acciaio dotato di turbine.

La fase di sperimentazione durerà per 4 mesi, poi Aws spera di costruire un prototipo a grandezza naturale nel 2011 e un impianto dimostrativo nel 2012: "Siamo in colloqui con molti importanti gruppi industriali, che possono apprezzare i nostri progressi. Per sfruttare tutto il suo potenziale, l'energia marina deve offrire soluzioni energetiche competitive e a basso rischio", ha commentato Simon Grey, direttore esecutivo dell'AWS.

 

Nel 2050 la potenza totale di fonti rinnovabili istallate in mare in Scozia potrà raggiungere i 68.000 MW. Così ripartiti: 46.000 ME da turbine eoliche fissate sul fondale, 11.000 MW da turbine eoliche su piattaforme galleggianti, 4000 MW dalle onde, 5000 MW dalle correnti marine e 2000 MW dalle maree. Lo afferma l'Offshore Valuation Study, un rapporto realizzato dall'Offshore Valuation Group, un gruppo composto da soggetti industriali e governativi e presieduto dall'associazione no profit Public Interest Research Centre.

 

 

 

 

Energia dalle onde, al via il primo impianto in Portogallo

di Luca Salvioli

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24 settembre 2008

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Il primo impianto commerciale in grado di produrre energia con le onde marine è stato inaugurato ufficialmente, con un ritardo di un anno causato da problemi tecnici, in Portogallo. I grossi serpenti marini daranno corrente elettrica alla rete a cinque chilometri dalle coste di Aguçadoura, nel nord del Paese, sopra Porto. L'ente elettrico Energias de Portugal (Edp) ha annunciato la creazione di un consorzio con il gruppo di investimento australiano Babcock & Brown e l' impresa portoghese Efacec.

Il capitale del consorzio, che non a caso si chiama "Ondas de Portugal", è detenuto per il 45% da Edp, per il 35% da Enersis, controllata portoghese di Babcock & Brown, e per il restante 20% da Efacec, la più importante impresa elettromeccanica portoghese. L'investimento iniziale è stato di 9 milioni di euro.

"Il ritardo di un anno è dovuto a dei problemi nella trasmissione dell'energia elettrica prodotta in mare", ha spiegato un ingegnere coinvolto nel progetto alla Bbc. Per ora è operativo uno solo dei tre convertitori "Pelamis" previsti: strutture cilindriche di tecnologia scozzese in grado di fornire 2,25 Megawatt ciascuna. Si tratta di "serpenti marini" rossi da 700 tonnellate ciascuno, per 142 metri di lunghezza e 3,5 metri di diametro. Una volta a regime tutti e tre potranno soddisfare il fabbisogno energetico di 1.500 abitazioni. Ma il progetto del consorzio mira ad installare in seguito altri 25 convertitori. Ogni serpentone è formato da più cilindri galleggianti uniti da giunture mobili, che seguono l'andamento del moto ondoso. Su ogni giuntura è posto un martinetto idraulico che aziona i generatori elettrici. Sono assicurati al fondo del mare da cavi di acciaio ancorati a qualche decina di metri di profondità. Un cavo sottomarino si occupa di trasportare la corrente a una centrale sulla terraferma che si occupa di convogliarla e distribuirla nella rete.

"L'energia delle onde ha un potenziale enorme per il Portogallo ma anche per altri Paesi, in quanto rappresenta una fonte d'energia inesauribile e pulita", ha sottolineato il ministro dell'Economia portoghese Manuel Pinho. La stessa tecnologia è in fase prototipale sulla coste Scozzesi e in Cornovaglia. Sono previste installazioni in Norvegia, Spagna, Francia, Sudafrica e Stati Uniti. Sul fronte dell'energia prodotta dalle onde del mare, a luglio alcuni ricercatori inglesi hanno annunciato la realizzazione del prototipo di "Anaconda", un serpente marino che sfrutta un meccanismo simile. Solo che è fatto di gomma, e promette costi decisamente inferiori.

 

 

 

Scommessa sulla Cina "green"

di Nicoletta PicchioCronologia articolo25 maggio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2010 alle ore 08:57.

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La descrive come una missione di "seconda generazione". Un'evoluzione rispetto a quelle degli anni scorsi. Per un motivo fondamentale: tra le aziende che dal 30 maggio al 4 giugno arriveranno in Cina non ci sono più soltanto le protagoniste delle cosiddette quattro A. E cioè alimentare, arredamento, abbigliamento e automotive. "Stavolta porteremo più aziende di settori diversificati. Non saremo concentrati solo sui consumi e aumenta il numero delle piccole aziende che si affiancano alle grandi", spiega Paolo Zegna, vice presidente di Confindustria con la delega all'internazionalizzazione.

La formula resta la stessa, collaudata dall'esperienza di decine di missioni: Confindustria, Ice, Abi e governo. Tutti insieme per portare all'estero un sistema paese compatto, per evitare quelle frammentazione che purtroppo, sottolinea Zegna, ancora spesso esistono. Numeri in genere imponenti. E anche questa missione in Cina ne è la conferma, a riprova dell'interesse delle imprese italiane: 600 operatori, 230 aziende, 20 associazioni territoriali e di categoria di Confindustria, 10 banche.

Settori nuovi: di che si tratta?

Operano nel grande campo dell'ambiente. Riciclaggio di rifiuti, energie alternative, fonti rinnovabili, ecoedilizia.

 

Quella green economy indicata come motore della crescita?

Sì. E le imprese italiane si stanno già affermando con una loro leadership, alla pari di quella già conquistata nei settori più tradizionali del made in Italy.

 

Un mercato che in Cina si sta aprendo?

Oggi c'è molta più attenzione in Cina per le questioni ambientali rispetto a qualche anno fa. Quindi per le nostre imprese si apre un mercato importantissimo: possiamo trasferire prodotti e tecnologie. Le aziende stanno capendo che la Cina non deve essere vista come un nemico ma come una grande opportunità. Lo dimostrano i dati dell'export verso quell'area: nel 2009, l'anno orribile della crisi, mentre Francia e Giappone hanno perso il 17 e il 13%, noi solo il 5,4. Abbiamo tenuto piuttosto bene! In questa prima parte del 2010 c'è una nuova crcescita del 14-15 per cento.

La distanza rende difficile per le piccole esportare e soprattutto fare investimenti...

Per questo organizziamo le missioni. E questa volta non andremo solo nella grandi città, Pechino e Shanghai, dove visiteremo il Padiglione Italia dell'Expo. Cominceremo con Chongqing, più all'interno, una città meno conosciuta qui da noi, dove ancora non si è sviluppato il grande consumo, ma che ha addirittura 31 milioni di abitanti. Anche questa una novità della missione. Il fenomeno dell'urbanizzazione sta andando avanti molto celermente, in Cina ci sono più di 40 città che hanno oltre 4 milioni di abitanti. Tutte potenzialmente interessanti per le nostre imprese. C'è interesse in Cina per l'Italia: i visitatori record del Padiglione Italia, che è bellissimo, sono la riprova che la realtà italiana viene guardata con grande attenzione.

Dopo le missioni è essenziale il follow up ...

Infatti, una volta individuati settori e potenzialità operative, solitamente facciamo seguire azioni più specifiche e mirate. Le missioni di sistema hanno naturalmente una forte connotazione politica anche se, con un grande contributo dell'Ice, curiamo con molta attenzione gli incontri faccia a faccia tra le aziende. Ci vorranno poi sempre più persone specializzate, presenti nei mercati più importanti. Per esempio, da due anni, il Sistema Moda Italia, l'organizzazione di Confindustria del tessile-abbigliamento, ha una ragazza cinese specializzata in quel settore presso l'ufficio Ice di Shanghai. È stato un coinvestimento tra Smi e Ice: un esempio da seguire senz'altro positivo.

nicoletta.picchio@ilsole24ore.com

 

 

 

Ma troppi documenti rallentano il business

Cronologia articolo25 maggio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2010 alle ore 08:55.

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Due anni. Fatti di burocrazia, di documenti presentati in doppia lingua, cinese e italiano. Di attese di carte, da parte dell' amministrazione locale. Dal 2007 a oggi: è il tempo che è stato necessario al Gruppo AlmavivA, che opera nel settore dei call center e dell'informatica, di cui è presidente l'imprenditore romano Alberto Tripi, per aprire l'attività in Cina. Ostacoli incontrati nonostante Tripi avesse come partner la CCID, l'Agenzia per l'informatica cinese, una delle prime aziende nazionali controllata direttamente dal ministero dell'Information Industry. Quindi, un soggetto pubblico in grado di dialogare con più facilità con l'amministrazione (il raggio d'azione spazia dall'editoria specializzata nel settore It alla consulenza e ai servizi di contact center).

Un mese fa, finalmente, è arrivata la licenza necessaria per cominciare a lavorare (il mercato delle tlc è regolato). Ed ora la società è pronta a partire. Ufficio a Shanghai, settore d'attività le tlc. In particolare i call center. Ma è solo un primo passo. "Già stanno dimostrando interesse per le applicazioni informatiche che sono alla base dei servizi di call center", annuncia Tripi.

La CCID-AlmavivA Information Technology Shanghai ha la sede proprio nel centro della città. E, stando alle potenzialità di crescita, è valsa la pena l'attesa di due anni. "La Cina è un mercato enorme. Finora sono pochi gli operatori che lavorano in questo campo", aggiunge il presidente del gruppo. Il piano di sviluppo prevede di assumere quest'anno 200 operatori di call center. Nei prossimi anni c'è già in programma di espandersi in altre 11 città cinesi. E la fase di grande urbanizzazione che si sta verificando in Cina è certamente un altro fattore di potenziale sviluppo.

 

Il business spazia dai call center ad altre applicazioni informatiche in diversi settori, a partire da quelli in cui il Gruppo AlmavivA già opera in Italia, dall'agricoltura alle ferrovie, all'amministrazione pubblica alla sicurezza nazionale. Il fatturato 2010 arriverà a un miliardo di euro, compresa la società GMatica che opera nel settore dei giochi elettronici; complessivamente i dipendenti sono 21mila, di cui 13mila in Italia, più altri 3mila esterni.

I partner cinesi hanno avuto modo di conoscere e verificare le applicazioni durante le visite nel quartier generale dell'azienda romana, che ha appena compiuto i 25 anni d'attività. E c'è già un notevole interesse. Un esempio: l'applicazione in agricoltura. "In Cina - dice Tripi - gli incentivi vengono dati a pioggia. Le tecnologie permetterebbero di selezionare in modo diverso l'erogazione di denaro pubblico a seconda delle colture".

Prima di optare per la Cina, Tripi e il figlio Marco, amministratore delegato dell'azienda, avevano sondato anche l'India. "Ci è sembrato più promettente il mercato cinese", afferma oggi l'imprenditore romano. Il gruppo è già presente in Brasile, nel settore dei call center, dove ha 8mila dipendenti, ed eroga servizi per Tim Brasil, Telefonica, Banco Itaù e altre imprese locali. In prospettiva, c'è l'intenzione di allargare le iniziative in Sudamerica nel campo dell'informatica e della consulenza.

Il primo sbarco all'estero è stato in Tunisia, attraverso la CosTunisie, sempre call center, una società che realizza il 90% del fatturato sui mercati del Mediterraneo. Non poteva però mancare un passo verso l'Oriente e in un altro di quei paesi a forte crescita, come appunto la Cina. La società cinese ha l'obiettivo di un fatturato di 70 milioni di euro entro il 2014 nelle attività di contact center e nei servizi informatici. Ma i numeri potranno crescere in tempi brevi: basti pensare che nel 2010 il governo cinese prevede di affidare in outsourcing commesse nell'attività di call center per 311 milioni di euro, mentre 14 miliardi di euro saranno destinati ai servizi informatici. Nella divisione delle cariche, il presidente della nuova società è stato nominato dal Gruppo AlmavivA ed è italiano, mentre l'amministratore delegato è cinese. (N. P.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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